Giulia Gallizzi, medico oncologo, ha 35 anni, una sincera passione per lo scrivere:
*Mi chiamo Giulia Gallizzi, sono nata ad Acqui Terme, ho 34 anni. Ho studiato Medicina specializzandomi in Oncologia. Ho amato ed amo il mio lavoro, pur con il carico di emozioni talvolta difficile da contenere e lo conduco attualmente all’ospedale di Casale Monferrato. Ho sempre scritto per me stessa, per sfogo e per passione. Prima la penna poi le dita sono diventate mie alleate nell’immortalare il ricordo, l’intimità, la rabbia, la commozione. Nell’era dei social network condividere diventava molto semplice. Bastava un click e tutto il mondo avrebbe letto il mio pensiero, senza dovermi muovere o cambiarmi d’abito. Così è iniziata la mia nuova storia. Le mie parole raggiungevano cuori molto lontani geograficamente e spiritualmente. Dopo un iniziale pentimento per lo stress che mi avrebbe arrecato questo mettermi in gioco, ho continuato a scrivere e a gridarlo assiduamente. Un giorno incontro Alda, virtualmente e delicatamente, grazie sempre alle mie parole. Alda mi propone di far parte del suo appassionato angolo di mondo. Ed eccomi qui… *
– C’è un momento alla fine della giornata, alla fine della settimana, alla fine del mese…in cui non riusciamo a trattenere le lacrime. E siate certi che nessuno vedrà questo momento…perché pervaso da un’intimo e sbagliato senso di colpa, che viene da lontano e che non si può spiegare…perché noi siamo lì per alleviarla, la sofferenza, e non possiamo soffrire perché peggioreremmo solo tutto. Da noi ci si aspetta la soluzione, troppo spesso la guarigione…e noi siamo quelli che hanno il compito oneroso di dire “non c’è più niente da fare”, “dobbiamo far sì che non soffra, che non senta dolore, che non percepisca questo momento”. Noi siamo a contatto con la morte. Quotidianamente. Noi ci siamo scelti questo mestiere, guadagniamo “tanti” soldi come molti dicono, noi non possiamo lamentarci di questa vita. Noi però siamo esseri umani, a volte troppo, contenitori di sfoghi e storie e pianti e sorrisi. Noi però abbiamo bisogno di aiuto, per aiutare. Noi, se non ci capissimo con gli sguardi, con i silenzi, con i gesti, noi non sopravviveremmo. Io, se non avessi i colleghi che ho, gli infermieri che ho, sarei già impazzita oltre il punto di non ritorno.
Vi chiedo solo di ricordarvi di noi, del fatto che non siamo onnipotenti, del fatto che la morte fa parte della vita, del fatto che noi ce la mettiamo tutta e anche di più e ci affezioniamo alle battaglie che sono anche le nostre, di cui conosciamo a memoria ogni TAC e ogni esame del sangue. E conosciamo persone che toccano il cuore e scavano una nicchia che li custodirà per sempre.
Ricordatevi che noi il lavoro ce lo portiamo a casa eccome, perché se non lo facessimo, questo lavoro non lo faremmo bene, e il prezzo più grande lo pagano le nostre famiglie.
Ricordatevelo, ogni volta che ci buttate addosso la rabbia della disperazione e della rassegnazione. Non è nostra la colpa del destino.
Noi siamo dalla vostra parte, lasciando indietro il nostro tempo e la nostra vita per proteggere la vostra.
Ricordatevelo…ricordatevelo perché noi siamo più fragili di quanto mostriamo. E abbiamo paura…come voi. Ma non smetteremo mai di lottare per la cura, la dignità e la serenità della vostra (nostra) battaglia. –