Cuore e controllo a distanza? Una nuova realtà ideata da due giovani impegnati nella biomedicina informatica. Ho avuto modo di conoscere un semplicissimo apparecchietto che ha le misure di una mezza carta di credito. Il kardia ecg della AliveCor. Un regalo ricevuto da un mio affetto per monitorare e poi inviare al medico che mi segue I tracciati relativi ad una disautonomia neuromediata legata pare anche ad una seria malattia demielinizzante. Inizialmente scettica, ho deciso di contattare uno dei cardiologi dedicati all’utilizzo di questo piccolo gioiellino di un futuro non molto lontano di telemedicina a distanza. Il Dottor Leopoldo Bianconi che guida il reparto di Cardiologia della Villa Pia di Roma. Mi ha illustrato tramite le proprie competenze uso, affidabilità e qualità del prodotto. Una bella chiacchierata informale. Lo ringrazio pubblicamente. Questo strumento lo ho presentato al mio cardiologo che mi sta seguendo, aiutando lui e me stessa ad evitarmi corse inutili in pronto soccorso, sempre però allertata a non minimizzare un disturbo più rilevante del solito in sintomi e durata delle crisi. Acquistato il kardia, ho avuto un tutor molto attento, il gentilissimo Eduardo Casalini Demarchi, che mi ha insegnato ad utilizzare la applicazione legata al prodotto da scaricare sullo smartphone per effettuare sia i tracciati, che poterli archiviare ed inviare al medico, sia via messenger, WhatsApp, che email. Ho provato le varie soluzioni di utilizzo e per il medico che mi segue I tracciati sono attendibili e chiari.
Categoria: Curiosità nel Web
RMN e gadolinio e sospensione per accumulo del mezzo di contrasto…
L’EMA (European Medicines Agency), dopo uno studio effettuato sulla revisione ed utilizzo a lungo termine dei farmaci usati come mezzo di contrasto per le risonanze magnetiche, ha deciso la sospensione di due prodotti, precisando comunque che gli altri prodotti in commercio vengano utilizzati solo esclusivamente quando il quesito diagnostico non è completabile con la tecnica di immagini in basale. Questa raccomandazione è stata confermata dalla EMA , in quanto secondo recenti studi il gadolinio è stato ritrovato in minime quantità nel tessuto cerebrale. Non esistono studi che evidenziano danni di tipo sistemico o neurologico, ma in ogni caso viene consigliata la massima cautela. Le persone maggiormente a rischio sono coloro che si sono sottoposti nel tempo a controllo seriali di follow up riguardo a malattie neurologiche o croniche: sclerosi multipla, e patologie degenerative di altri organi. Saranno autorizzati i seguenti mezzi di contrasto lineari quali Acido Gadoxetico e Gadobenico per lo studio delle patologie del fegato e l’Acido Gadopentetico per uso intra-articolare, in quanto per questo ultimo il dosaggio è molto basso. Sospesi si legge nell’articolo saranno la Gadodiamide, Acido Gadopentetico e Gadoversetamide. Gli altri mezzi di contrasto conosciuti come agenti macrociclici (il Gadobutrolo, Gadoteridolo e Gadoterico) potranno essere usati al minor dosaggio utile per le scansioni se non si riesce a fare diagnosi con la immagine basale.
Notizie più esplicite le trovate nel sito www.farmacovigilanza.net” – “Accumulo di Gadolinio nel cervello e in altri tessuti: restrizioni….
news e Sclerosi Multipla
Veneto/Sanità : news
04 Aprile 2014 – 12:53
(ASCA) – Verona, 4 apr 2014 – ”Non sono uno scienziato, ma ho preso informazioni: la scoperta di uno dei principali meccanismi alla base di molte patologie autoimmuni, come la sclerosi multipla, realizzata dal team di giovanissimi ricercatori dell’Universita’ di Verona, e’ di quelle per le quali tutto il mondo e milioni di malati dovranno ringraziare la qualita’ della ricerca che si fa in Veneto”. Con queste parole il Presidente della Regione del Veneto, Luca Zaia, saluta lo straordinario esito del lavoro, durato 7 anni, da parte di un gruppo di ricerca guidato da Gabriela Constantin, docente di Patologia Generale del Dipartimento di Patologia e Diagnostica dell’Universita’ di Verona diretto dal professor Paolo Scarpa, che ha portato alla scoperta che una proteina (la Tim-1) utile per alcuni aspetti, puo’ essere causa anche di molte malattie infiammatorie autoimmuni, tra le quali la sclerosi multipla, il lupus, l’artrite reumatoide, la psoriasi, il diabete mellito. Lo studio e’ gia’ stato pubblicato negli Stati Uniti. ”Forse altri nel mondo sono piu’ bravi a fare marketing e a vendersi nel mondo dell’informazione – aggiunge il Governatore – ma questa squadra di straordinari ricercatori, tanto giovani che il primo firmatario dello studio ha 30 anni, ha dimostrato una volta di piu’ il livello scientifico e umano raggiunto dalla sinergia tra sanita’ e ricerca, che ha portato il sistema veneto ai vertici internazionali, al pari di tanti concorrenti piu’ illustri solo perche’ piu’ abili nel pubblicizzare i loro lavori”. ”Da questa scoperta della quale andiamo orgogliosi – conclude il Presidente della Regione – ritengo possa partire una battaglia planetaria contro patologie gravi e gravemente invalidanti che, una volta vinta, potra’ consentire di individuare nuovi farmaci e terapie avanzate capaci di portare giovamento alle sofferenze di tanta gente, nel Veneto, in Italia, nel Mondo, afflitta da queste patologie”. fdm/res
Il "vino in salute" del Monferrato: Gabriella Caprino lo racconta… il 22/09/2013
..che dirvi? il 22 settembre alle 17.30 presso il Salone Tartara, vi attendiamo nella nostra piccola Casale Monferrato per conoscere le nostre usanze locali e la buona cucina in salute monferrina!
FESTA DEL VINO e CASALE MONFERRATO
Festa del vino Monferrato
Tradizionale rassegna a base di vini e prodotti tipici.Appuntamenti con mostre e concerti al Castello del Monferrato. La Festa del Vino vedrà protagoniste le Pro Loco che proporranno i menù piemontesi. Saranno presenti anche stand eno-gastronomici.
Giornale con i dettagli della manifestazione
La manifestazione continua il 21 e 22 Settembre
Zodiaco e Sclerosi Multipla
zodiaco-data-nascita-sclerosi : esiste correlazione?
ps: sono nata in maggio….che sia realmente così? :-/
Il mese di nascita influisce
sul sistema immunitario
I nati a novembre i più «protetti». I bebè di maggio i più vulnerabili e più a rischio di sviluppare la sclerosi multipla
Dallo zodiaco al sistema immunitario il passo sembra enorme, ma ora a sostenere l’influsso del mese di nascita sulle difese dell’organismo è un team di ricercatori britannici, finanziati fra l’altro dal Medical Research Council e dalla Fondazione italiana sclerosi multipla, in uno studio pubblicato su Jama Neurology. I ricercatori hanno scoperto che lo sviluppo del sistema immunitario dei neonati e i livelli di vitamina D dei piccoli variano in base al mese di nascita. E che i più «fortunati» da questo punto di vista sono i bebè nati a novembre.
COMPLEANNO E RISCHIO SCLEROSI – E La ricerca, condotta da scienziati della Queen Mary University, dell’Università di Londra e dell’Università di Oxford, fornisce una base biologica sul perché il rischio di sviluppare la sclerosi multipla è influenzato dal mese del compleanno. La sclerosi multipla è il risultato di un intervento del sistema immunitario che danneggia il sistema nervoso centrale. Lo sviluppo della malattia è ritenuto frutto di una complessa interazione tra geni e ambiente. In passato un certo numero di studi ha suggerito che il mese di nascita può influenzare il rischio di sviluppare la sclerosi multipla. Questo effetto è particolarmente evidente in Inghilterra, spiegano gli studiosi, dove un picco di pazienti è stato registrato fra i soggetti nati a maggio, mentre il numero minore si è concentrato tra chi compie gli anni a novembre. Secondo i ricercatori, dal momento che la vitamina D è formata dalla pelle quando è esposta alla luce del sole, l’«effetto mese di nascita» proverebbe il ruolo della vitamina D prenatale nel rischio di sclerosi multipla.
LE ANALISI – Ebbene, in questo studio sono stati esaminati campioni di sangue del cordone ombelicale da 50 bambini nati a Londra nel mese di novembre e da altrettanti nati nel maggio, tra il 2009 e il 2010. Il sangue è stato analizzato per misurare i livelli di vitamina D e di cellule T autoreattive. Le cellule T sono globuli bianchi che giocano un ruolo cruciale nella risposta immunitaria dell’organismo: «soldati» che identificano e distruggono agenti infettivi che invadono l’organismo. Ma le T autoreattive sono in grado di attaccare le cellule del proprio corpo, innescando malattie autoimmuni, e devono essere eliminate dal sistema immunitario durante il suo sviluppo. Questo processo di trasformazione cellule T viene svolto dal timo, organo che si trova nella cavità toracica superiore.
I RISULTATI – I risultati hanno mostrato che i bebè di maggio avevano livelli significativamente più bassi di vitamina D (circa il 20% inferiori a quelli nati nel mese di novembre) e livelli significativamente più alti (circa il doppio) di cellule T autoreattive rispetto al campione nato a novembre. Secondo il co-autore, Sreeram Ramagopalan, docente di neuroscienze a Barts e della Queen Mary, «dimostrando che il mese di nascita ha un impatto misurabile nello sviluppo del sistema immunitario in utero, questo studio fornisce una possibile spiegazione biologica per l’effetto mese di nascita nella sclerosi multipla». «Livelli più elevati di cellule T autoreattive potrebbero spiegare perché i bambini nati in maggio sono a più alto rischio di sviluppare la malattia», prosegue. Inoltre la correlazione con la vitamina D «suggerisce che proprio questo potrebbe essere il motore dell’effetto» rilevato dall’analisi dei certificati di nascita dei pazienti. «Occorrono studi a lungo termine per valutare l’effetto dei supplementi di vitamina D nelle donne in gravidanza e il conseguente impatto sullo sviluppo del sistema immunitario e sul rischio di sclerosi multipla e altri malattie autoimmuni». (Fonte: Adn-Kronos Salute) 9 aprile 2013 | 13:30
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zodiac-data-birth-sclerosis: no correlation?
The month of birth affects
on the immune system
Those born in November, the most “protected”. Babies of May the most vulnerable and most at risk of developing multiple sclerosis
From the zodiac to the immune system the step seems huge, but now to support the influence of month of birth on the body’s defenses is a team of British researchers, funded among others by the Medical Research Council and the Italian Multiple Sclerosis Foundation, in a study published in Neurology Jama. The researchers found that the development of the immune system of infants and small levels of vitamin D depend on the month of birth. And that the more “fortunate” from this point of view are babies born in November.
BIRTHDAY AND RISK SCLEROSIS – And The research, conducted by scientists at Queen Mary University, the University of London and Oxford University, provides a biological basis as to why the risk of developing multiple sclerosis is influenced by month of your birthday. Multiple sclerosis is the result of an action of the immune system that damages the central nervous system. The development of the disease is considered the result of a complex interaction between genes and environment. In the past a number of studies have suggested that the month of birth may influence the risk of developing multiple sclerosis. This effect is particularly evident in England, experts explain, where a peak of patients was recorded among subjects born in May, while the lowest number was concentrated among those who are celebrating a birthday in November. According to the researchers, since vitamin D is formed by the skin when exposed to sunlight, the ‘effect’ birth month ‘proves the role of vitamin D in prenatal risk of multiple sclerosis.
ANALYSIS – Well, in this study have been examined samples of umbilical cord blood from 50 babies born in London in November and an equal number were born in May, between 2009 and 2010. The blood was analyzed to measure the levels of vitamin D and of autoreactive T cells. T cells are white blood cells that play a crucial role in the body’s immune response, “soldiers” that identify and destroy infectious agents that invade the body. But the autoreactive T are able to attack the body’s own cells, triggering autoimmune diseases, and must be eliminated by the immune system during its development. This transformation process is performed T cells from the thymus, an organ that is located in the upper chest cavity.
RESULTS – The results showed that the baby of May had significantly lower levels of vitamin D (about 20% lower than those born in the month of November) and significantly higher levels (about double) of autoreactive T cells compared to sample born in November. According to co-author, Sreeram Ramagopalan, a professor of neuroscience at Barts and Queen Mary, “showing that the month of birth has a measurable impact in the development of the immune system in the uterus, this study provides a possible biological explanation for the effect of month of birth in multiple sclerosis. ” “Higher levels of autoreactive T cells could explain why babies born in May, are at higher risk of developing the disease,” he continues. In addition, the correlation with vitamin D “suggests that this could be just the motor effect” detected by the analysis of birth certificates of patients. ‘We need long-term studies to evaluate the effect of vitamin D supplements in pregnant women and the consequent impact on the development of the immune system and the risk of multiple sclerosis and other autoimmune diseases. ” (Source: ADN-Kronos Health) April 9, 2013 | 13:30
curiosità nel web…
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Ipovisione e retina artificiale
http://notizie.tiscali.it/articoli/interviste/11/01/retina-artificiale-intervista-prof-lanzani.html
- Il Professor Lanzani: “Abbiamo creato una retina artificiale funzionante, un giorno servirà a curare la cecità”
- Maggiorenni a sedici anni? Lidia Ravera e Sabino Acquaviva dicono no
- Influenza A, il professor Tomei: “In Italia nessun allarme, semmai uno stato di attenzione”
Il professor Lanzani: “Abbiamo creato una retina artificiale funzionante, un giorno servirà a curare la cecità”
“Non è stato un caso. Siamo arrivati a creare questa ‘protesi’ attraverso una programmazione precisa. Abbiamo usato dei semiconduttori organici, materiali artificiali creati in laboratorio – a base di carbonio -, che risultano essere molto simili alle sostanze che si trovano in natura. L’uso di questo materiale garantisce una biocompatibilità maggiore, in quanto soffice e leggero e flessibile: in caso di un’integrazione in una protesi potrebbe presentare notevoli vantaggi. Questi materiali vengono solitamente usati nelle celle fotovoltaiche, e hanno pertanto la naturale capacità di assorbire la luce per poi creare delle cariche elettriche: fenomeno alla base della stimolazione dei neuroni. La prima cosa che abbiamo fatto è stata studiare la compatibilità dei neuroni, depositandoli e facendoli crescere sul nostro semiconduttore organico. Così facendo abbiamo visto che i nostri neuroni crescono bene, cosa non del tutto scontata. In un secondo momento abbiamo stimolato otticamente il semiconduttore organico e notato che il segnale luminoso veniva trasformato in un segnale elettrico: siamo riusciti a far vedere la luce ai nostri neuroni”.
“Ora abbiamo fatto una ‘prova di concetto’, dimostrando che utilizzando questi materiali e il trasporto ionico del liquido in cui i neuroni vivono, si riesce a realizzare questa interfaccia quindi a foto stimolare i neuroni. Una protesi vera e propria la realizzeremo in seguito: dovrà essere più grande e di materiale maggiormente flessibile: alla fine studieremo la biocompatibilità inserendola in un topo”.
“Parlare di un inserimento sul mercato è prematuro. Se tutto andrà bene serviranno alcuni anni. Prima dobbiamo studiare la biocompatibilità nel suo complesso, inserendo la retina in un topo, e poi dovremo trovare un modo per ingegnerizzare il dispositivo, rendendolo bio-mimetico. A quel punto sarà indispensabile trovare un contatto con dei colleghi specializzati in chirurgia oculare. La nostra come si evince è una ricerca estremamente multidisciplinare”.
“Questo è molto difficile da stabilire. Oggi non siamo in grado di sviluppare una retina artificiale capace di svolgere le complesse funzioni di una retina biologica. Anche con le protesi al silicio più moderne si riesce al massimo a distinguere delle lettere retroilluminate: niente più che sagome. C’è una strada complessa ancora da percorrere e per farlo è necessario un lavoro congiunto di fisici, chimici, ingegneri e psicologi. In sintesi si dovrà cercare di comprendere il meccanismo della visione, ancora poco chiaro. Noi siamo comunque riusciti a dimostrare che i nostri materiali sono in grado di visualizzare, sebbene in teoria, anche delle immagini a colori. Come queste possano esser poi trasmesse al cervello è tutto da chiarire”.
“E’ il nostro obiettivo finale. Noi speriamo di arrivare un giorno a questo importante risultato. E’ stato così per l’orecchio: i primi impianti erano molto rudimentali e facevano distinguere vagamente i rumori, adesso siamo arrivati ad una risoluzione del suono quasi uguale a quella naturale. Per la visione è molto più complicato, ma confidiamo nel riuscire negli anni a sviluppare un occhio bionico in grado di eguagliare o persino superare le capacità del suo corrispondente biologico”.
“Rischia un deterioramento, ma si dovrà capire in che modo. Posso dire che le celle fotovoltaiche organiche hanno una vita media di 10 anni. In questi dispositivi c’è però un elettrodo, che noi abbiamo sostituito con il liquido ionico: confidiamo sia un’idea vincente. Sono ottimista, dico che spero che le nostre retine artificiali possano vivere almeno 10 anni”.
“L’ostacolo più grosso è relativo alla comprensione del meccanismo della visione e alla codifica delle informazioni da mandare al cervello. Il dispositivo ideale, che cercheremo di fare, è una retina artificiale completa in cui abbiamo una distribuzione spaziale dei fotorecettori simili a quelli della retina naturale. Questa segue una geometria particolare che si chiama log-polare: cercheremo di riprodurre il tutto in una retina artificiale e per comprenderne meglio il funzionamento la installeremo in un robot”.
“Sì, quello della retina è l’impiego più immediato, ma ne esistono molti altri. L’ocpogenetica, area emergente delle neuroscienze che mira a servirsi della luce per stimolare le aree neuronali, potrebbe un giorno servirsi dei risultati da noi ottenuti per curare le malattie del sistema nervoso”.
“Sono un docente del politecnico di Milano e direttore del Centro di Nanoscienze e Tecnologie dell’Istituto Italiano di Tecnologia, nel politecnico di Milano. Come Iit siamo un’isola felice: Iit è un esperimento italiano che effettua ricerca in maniera differente, e in cambio di questo abbiamo un livello di finanziamento adeguato. Come politecnico di Milano le cose cambiano e i tagli sono pesantissimi: di fatto non abbiamo più agenzie a cui rivolgerci per i finanziamento nazionale. Esiste qualcosa per i finanziamenti regionali, ma la situazione è realmente difficile. Speriamo che questo ultimissimo studio possa darci una mano. Il nostro Paese sforna ottimi ricercatori: alcuni scelgono di andare all’estero, perché trovano condizioni di lavoro migliori altri restano e accettano di combattere contro mille difficoltà che distolgono dagli obiettivi principali. Confidiamo nei politici e nella possibilità che presto possano considerarci una risorsa in cui investire”.
“Le risorse umane di certo non mancano. Il problema è la carenza dei finanziamenti, ma questo è assodato. Sentiamo inoltre la mancanza di una struttura, di una organizzazione intorno alla ricerca che, se anche è vero in Italia esiste, è spesso mal funzionante: io devo combattere con una burocrazia assurda, che va contro ogni mia esigenza e sembra fatta appositamente per non farmi lavorare. All’estero questi problemi non esistono. Negli Stati Uniti, in Inghilterra e soprattutto in Finlandia, in periodi di crisi, il governo investe nella ricerca, mentre da noi accade esattamente il contrario”.
“Ci sono alcune grosse industrie che investono sulla ricerca, ma sono veramente pochissime. Il problema è che il tessuto industriale italiano è composto principalmente da piccole e medie imprese che non investono nella ricerca in quanto non hanno prodotti ad alta tecnologia. Quelle poche che avrebbero interesse ad investire hanno spesso paura, scoraggiate anche dalla eccessiva burocrazia”.
http://notizie.tiscali.it/articoli/interviste/11/01/retina-artificiale-intervista-prof-lanzani.html
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Professor Lanzani: “We have created an artificial retina working one day help to cure blindness”
Roberto Zonca
It ‘signed by the Department of Neuroscience and neurotechnology (Nbt), the Center for Nanoscience and Technology of the Italian Institute of Technology (Cnst – Polimi IITs) and the Department of Physics at the Politecnico di Milano the development of the prototype of the first artificial retina the world’s working perfectly. The team of researchers, some of them fresh PhD (Diego Ghezzi, Maria Rosa and Erica Antognazza Lanzarini), was coordinated by Professor William Lanzani, physicist and associate professor at the Polytechnic of Milan and his colleague Fabio Benfenati. The study, whose results were published in Nature Communications, started from the need to find a remedy to the problems related to the malfunction of the human retina. The solution is reached by combining a myriad of high skills that allowed the development of an artificial retina that is an interface between nerve cells and an organic material called semiconductor rr-P3HT: PCBM. This, although at the time it was made only a demonstration in vitro, mimics the process to which they are assigned to the photoreceptors in the retina picks up the light pulses and converts them into electrical signals and sends them to the brain via the optic nerve. On this important news we interviewed Professor Lanzani, coordinator of the study.
As we come to the creation of this artificial retina?
“It was not an accident. We got to create this ‘implants’ through precise programming. We used organic semiconductor materials, artificial materials created in a laboratory – based on carbon – which appear to be very similar to substances found in nature. The use of this material ensures a greater biocompatibility, as soft and light and flexible: in case of integration in a prosthesis may offer significant advantages. These materials are generally used in the photovoltaic cells, and therefore have the natural ability to absorb the light and then create the electrical charges: phenomenon at the base of the stimulation of neurons. The first thing we did was to study the compatibility of neurons, depositing and making them grow on our organic semiconductor. In doing so we have seen that our neurons grow well, which is not entirely obvious. In a second step we optically stimulated the organic semiconductor and noticed that the light signal was converted into an electrical signal we were able to see the light of our neurons. ”
What’s the next step?
“Now we made a ‘proof of concept’, demonstrating that using these materials and the ionic transport of the liquid in which neurons live, are unable to achieve this interface and then to photo stimulate neurons. A real prosthesis will realize it later: it will be bigger and more flexible material at the end we will study the biocompatibility inserting it into a mouse. ”
When it might be available?
“Talk about a market introduction is premature. If all goes well will need several years. First we must study the biocompatibility as a whole, by inserting the retina in a mouse, and then we will have to find a way to engineer the device, making bio-mimetic. At that point it will be necessary to find a contact with colleagues who specialize in eye surgery. As shown in our research is highly multidisciplinary. ”
Who will benefit from one of these artificial retinas may repurchase a view of “normal”?
“This is very difficult to establish. Today, we are not able to develop an artificial retina able to carry out complex functions of a biological retina. Even with the most modern silicon implants can currently make out of the letters backlit: nothing more than silhouettes. There is a complex way still to go and to do that you need a joint work of physicists, chemists, engineers and psychologists. In summary, we should try to understand the mechanism of vision, still unclear. We are still able to demonstrate that our materials are able to view, although in theory, the color images. How these can then be transmitted to the brain remains to be clarified. ”
Even a blind person who has not suffered any damage to the optic nerve?
“It ‘s our ultimate goal. We hope to one day get to this important result. It ‘been so for the ear: the first plants were very rudimentary and were vaguely distinguish the sounds, now we have reached a resolution of the sound almost identical to the natural one. For the vision is much more complicated, but we are confident in succeeding years to develop a bionic eye can match or even exceed the capabilities of its corresponding organic “.
This artificial retina will have an “indefinite” or risk deterioration?
“He risks a deterioration, but you will understand how. I can say that organic solar cells have an average life of 10 years. In these devices, however, there is an electrode, which we replaced with the ionic liquid: trust is a winning idea. I am optimistic, I say that I hope that our artificial retinas can live at least 10 years. ”
You can improve this device? What is your dream?
“The biggest obstacle is related to the understanding of the mechanism of vision and the encoding of the information to be sent to the brain. The ideal device, we will try to do is complete an artificial retina where we have a spatial distribution similar to those of the photoreceptors of the retina natural. This follows a particular geometry which is called log-polar we will try to play around in an artificial retina and to better understand the operation of the install in a robot. ”
The results obtained may be useful to you in other areas?
http://notizie.tiscali.it/articoli/interviste/11/01/retina-artificiale-intervista-prof-lanzani.html
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Professeur Lanzani: «Nous avons créé une rétine artificielle travailler un jour aider à guérir la cécité”
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Roberto Zonca
Il est signé par le Département des neurosciences et de la neurotechnologie (NBT), le Centre pour la nanoscience et de la technologie de l’Institut italien de technologie (CNST – Polimi IIT) et le Département de physique de Politecnico di Milano le développement du prototype de la rétine premier artificielle le monde fonctionne parfaitement. L’équipe de chercheurs, certains d’entre eux, frais, PhD (Diego Ghezzi, Maria Rosa et Erica Antognazza Lanzarini), a été coordonné par le Professeur William Lanzani, physicien et professeur agrégé à l’École polytechnique de Milan et son collègue Fabio Benfenati. L’étude, dont les résultats ont été publiés dans Nature Communications, a commencé à partir de la nécessité de trouver une solution aux problèmes liés au mauvais fonctionnement de la rétine humaine. La solution est atteint en combinant une multitude de compétences élevées qui ont permis le développement d’une rétine artificielle qui est une interface entre les cellules nerveuses et d’une matière organique appelée semi-rr-P3HT: PCBM. Ceci, bien qu’à l’époque il a été fait seulement une démonstration in vitro, imite le processus auquel ils sont affectés à des photorécepteurs de la rétine capte les impulsions lumineuses et les convertit en signaux électriques et les envoie au cerveau via le nerf optique. Sur cette nouvelles importantes, nous avons interviewé le professeur Lanzani, coordinateur de l’étude.
Comme nous arrivons à la création de cette rétine artificielle?
«Ce n’était pas un accident. Nous sommes arrivés à créer ce «implants» à travers une programmation précise. Nous avons utilisé des matériaux semi-conducteurs organiques, de matériaux artificiels créés dans un laboratoire – à base de carbone – qui semblent être très similaires à des substances trouvées dans la nature. L’utilisation de ce matériau assure une plus grande biocompatibilité, aussi doux et léger et souple: en cas d’intégration dans une prothèse peut offrir des avantages significatifs. Ces matériaux sont généralement utilisés dans les cellules photovoltaïques, et ont donc la capacité naturelle à absorber la lumière et créer des charges électriques: phénomène à la base de la stimulation des neurones. La première chose que nous avons faite a été d’étudier la compatibilité des neurones, déposer et faire croître notre semi-conducteur organique. Ce faisant, nous avons vu que nos neurones se développent bien, ce qui n’est pas tout à fait évidente. Dans un deuxième temps, nous stimulée optiquement le semi-conducteur organique et a remarqué que le signal lumineux est converti en un signal électrique, nous avons pu voir la lumière de nos neurones. ”
Quelle est la prochaine étape?
«Maintenant, nous avons fait un« proof of concept », ce qui démontre que l’utilisation de ces matériaux et le transport ionique du liquide dans lequel les neurones vivent, sont incapables d’atteindre cette interface, puis de photo stimuler les neurones. Une prothèse réelle sera rendu compte plus tard: il sera plus grand et matériau plus souple à la fin, nous allons étudier la biocompatibilité de l’insérer dans une souris “.
Quand il pourrait être disponible?
“Tu parles d’un lancement sur le marché est prématurée. Si tout va bien faudra plusieurs années. Nous devons d’abord étudier la biocompatibilité dans son ensemble, en insérant la rétine d’une souris, et ensuite nous devrons trouver une façon de concevoir le dispositif, ce qui en bio-mimétique. À ce moment, il sera nécessaire de trouver un contact avec des collègues qui se spécialisent dans la chirurgie oculaire. Comme le montre notre recherche est très pluridisciplinaire. ”
Qui bénéficiera de l’une de ces rétines artificielles peut racheter une vue de la «normalité»?
«C’est très difficile à établir. Aujourd’hui, nous ne sommes pas en mesure de développer une rétine artificielle capable de réaliser des fonctions complexes d’une rétine biologique. Même avec les implants en silicone les plus modernes peuvent actuellement faire à partir des lettres lumineuses: rien de plus que des silhouettes. Il ya une façon complexe qui reste à parcourir et pour ce faire vous avez besoin d’un travail conjoint des physiciens, des chimistes, des ingénieurs et des psychologues. En résumé, nous devons essayer de comprendre le mécanisme de la vision, toujours incertaine. Nous sommes toujours en mesure de démontrer que nos matériaux sont capables de voir, même si en théorie, les images en couleur. Comment ceux-ci peuvent ensuite être transmises au cerveau reste à préciser. ”
Même un aveugle qui n’a pas subi de dommages au nerf optique?
«C’est notre objectif ultime. Nous espérons un jour arriver à ce résultat important. C ‘est ainsi depuis l’oreille: les premières plantes étaient très rudimentaires et étaient vaguement distinguer les sons, nous avons atteint une résolution du son presque identique à celui naturel. Car la vision est beaucoup plus compliqué, mais nous sommes confiants dans les années suivantes pour développer un œil bionique ne peut égaler, voire dépasser les capacités de sa organique correspondant “.
Cette rétine artificielle aura une détérioration «indéfinie» ou un risque?
“Il risque une dégradation, mais vous comprendrez comment. Je peux dire que les cellules solaires organiques ont une durée de vie moyenne de 10 ans. Dans ces dispositifs, cependant, il ya une électrode, nous avons remplacé avec le liquide ionique: la confiance est une idée gagnante. Je suis optimiste, je dis que j’espère que nos rétines artificielles peuvent vivre au moins 10 ans. ”
Vous pouvez améliorer ce dispositif? Quel est votre rêve?
«Le plus grand obstacle est lié à la compréhension du mécanisme de la vision et de l’encodage de l’information à transmettre au cerveau. L’appareil idéal, nous allons essayer de faire est de remplir une rétine artificielle où nous avons une distribution spatiale similaire à celles des photorécepteurs de la rétine naturelles. Cela fait suite à une géométrie particulière qui est appelé log-polaire nous allons essayer de jouer dans une rétine artificielle et de mieux comprendre le fonctionnement de l’installation dans un robot. ”
Les résultats obtenus peuvent vous être utiles dans d’autres domaines?
“Oui, ce que la rétine est utilisé dans le plus simple, mais il ya beaucoup d’autres. Le ocpogenetica, nouveau domaine de la neuroscience qui vise à utiliser la lumière pour stimuler les zones neuronales, pourrait un jour utiliser les résultats que nous avons obtenus pour traiter les maladies du système nerveux. ”
Les coupes à la recherche affectera également vos installations? Quelles sont les conséquences?
«Je suis maître de conférences à l’École polytechnique de Milan et directeur du Centre pour la nanoscience et de la technologie de l’Institut Italien de Technologie, l’école polytechnique de Milan. Comme nous sommes heureux d’IIT île: IIT est une expérience italienne qui effectue la recherche d’une manière différente, et en échange de cela, nous avons un niveau de financement adéquat. Comme l’école polytechnique de Milan, les choses changent et les coupes sont très lourdes: en fait, nous n’avons plus besoin de se tourner vers les agences de financement nationales. Il ya quelque chose de financement régional, mais la situation est vraiment difficile. Nous espérons que cette nouvelle étude va nous donner un coup de main. Notre pays produit d’excellents chercheurs: certains choisissent d’aller à l’étranger, car ils trouvent de meilleures conditions de travail et d’autres sont autorisés à se battre contre les nombreuses difficultés qui distraient de ses principaux objectifs. Nous avons confiance dans les politiciens et la possibilité que, bientôt, peut nous considèrent comme une ressource dans laquelle investir. ”
Ce qui manque dans la recherche italienne afin de comparer avec le marché international?
“Les ressources humaines ne manquent pas. Le problème est le manque de financement, mais c’est un fait. Également ressentir le manque d’une structure, une organisation autour de cela, même si cela est vrai en Italie, il est souvent dysfonctionnel: je dois me battre une bureaucratie absurde, ce qui va à l’encontre chacun de mes besoins et est fait pour moi de ne pas travailler. A l’étranger, ces problèmes n’existent pas. Aux États-Unis, en Angleterre et surtout en Finlande, en temps de crise, le gouvernement investit dans la recherche, alors qu’ici, c’est exactement le contraire. ”
Personnes croient suffisamment dans la recherche italienne?
“Il ya quelques grandes industries qui investissent sur la recherche, mais ils sont vraiment très rares. Le problème est que la structure industrielle italienne est principalement composé de petites et moyennes entreprises qui n’investissent pas dans la recherche parce qu’ils n’ont pas produits de haute technologie. Les rares personnes qui auraient un intérêt à investir ont souvent peur, découragé même par la bureaucratie. ”
27 janvier 2011
news per la Sclerosi Multipla
La cannabis rallenta i processi neurodegenerativi
LA CANNABIS RALLENTA I PROCESSI NEURODEGENERATIVI
IN DIVERSE PATOLOGIE NEUROLOGICHE Evidenziati grazie ad uno studio della Fondazione Santa Lucia in collaborazione con l’Università di Teramo i meccanismi cellulari alla base dell’azione neuro protettiva della canapa indiana Ormai da diversi anni ricercatori e medici discutono sul possibile uso della canapa indiana (Cannabis sativa) e dei suoi derivati, come l’hashish e la marijuana, per scopi terapeutici in diverse patologie neurologiche come, ad esempio, la sclerosi multipla ed i traumi cranici e del midollo spinale. Tuttavia, la mancanza di dati sui meccanismi di tale azione ha sino ad ora rallentato le possibili applicazioni cliniche. Infatti, nonostante le molte evidenze cliniche dell’azione della Cannabis e dei suoi derivati, i meccanismi con cui i principi attivi contenuti nella Cannabis svolgono un’azione neuroprotettiva non sono ancora del tutto noti. Nuova luce sulle effettive capacità terapeutiche di questa sostanza e dei meccanismi d’azione della stessa arrivano ora da un ulteriore studio svolto in questo campo dall’IRCCS Fondazione Santa Lucia di Roma in collaborazione con l’Università di Teramo. Il lavoro scientifico è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista internazionale “Journal of Molecular Medicine”. Lo studio ha permesso, per la prima volta, di caratterizzare i rapporti tra la stimolazione da Cannabis e l’azione di un composto gassoso ben noto per le sue azioni sulle cellule del Sistema Nervoso Centrale (SNC): l’ossido di azoto. Questa molecola, da decenni al centro dell’interesse dei ricercatori, è coinvolta nella regolazione di importanti funzioni del SNC e svolge azioni sia in senso neuroprotettivo che neurotossico. La ricerca della Fondazione Santa Lucia e dell’Università di Teramo ha dimostrato come, proprio attraverso i recettori cannabici, ed in particolar modo il recettore cannabico di tipo 2, sia possibile indirizzare gli effetti dell’ossido di azoto in senso neuroprotettivo o neurotossico. E’ stato così compiuto un passo avanti per lo sviluppo di farmaci in grado di agire in modo selettivo sull’ossido di azoto inducendo solo effetti neuroprotettivi e questo grazie all’azione della Cannabis. In conclusione, lo studio permette sia di fare un ulteriore passo avanti nella comprensione del meccanismo d’azione attraverso cui il principio attivo della Cannabis esercita la sua funzione neuroprotettiva a seguito di danno cerebrale, sia di guardare con maggiore interesse all’uso di queste sostanze in ambito clinico tanto per le malattie acute che croniche del SNC. Grazie a questi risultati, si aprono ora interessanti prospettive in ambito terapeutico per lo sviluppo di nuovi approcci farmacologici, utili per patologie di grande diffusione, come l’ictus e la sclerosi multipla, in grado di “sfruttare” la proprietà neuroprotettiva dell’ossido d’azoto mediata dall’azione della Cannabis. Queste importanti evidenze scientifiche sono state ottenute utilizzando avanzate tecniche di biochimica, neuromorfologia funzionale in microscopia confocale, test farmacologici e valutazione comportamentale del recupero nel modello animale dopo un danno al Sistema Nervoso Centrale. Il lavoro scientifico si è svolto presso la Fondazione Santa Lucia nell’ambito delle linee di ricerca in Neuroscienze Sperimentali dirette dal prof. Giorgio Bernardi. Tutto lo studio è stato coordinato dal prof. Marco Molinari* e dal prof. Mauro Maccarrone; vi hanno preso parte Sergio Oddi, Laura Latini, Maria Teresa Viscomi e Elisa Bisicchia. Con la Fondazione Santa Lucia di Roma ha collaborato il Dipartimento di Scienze Biomediche Comparate dell’Università di Teramo diretto dal prof. Maccarrone e di cui fa parte anche il Dott. Oddi. I risultati di questo nuovo lavoro si aggiungono a quelli dei precedenti studi svolti nel 2009 e nel 2010 dai ricercatori della Fondazione sul ruolo degli endocannabinoidi nelle patologie neurologiche. Roma, 20 gennaio 2012 * Marco Molinari – È Responsabile del Laboratorio di Neuroriabilitazione Sperimentale e Direttore dell’Unità Operativa Complessa di Riabilitazione Neuromotoria e Sezione Mielolesi dell’IRCCS Fondazione Santa Lucia. È autore di oltre 200 contributi scientifici di cui oltre 100 su riviste internazionali indicizzate in campo neurologico riguardanti in particolare lo studio dei meccanismi di recupero funzionale dopo lesioni del Sistema Nervoso Centrale. Cannabis slows neurodegeneration IN OTHER NEUROLOGICAL DISEASES Highlighted by a further study of the Saint Lucia Foundation in collaboration with the University of Teramo cellular mechanisms underlying the neuroprotective action of cannabis For several years researchers and physicians discuss the possible use of Indian hemp (Cannabis sativa) and its derivatives, such as hashish and marijuana for therapeutic purposes in various neurological diseases such as, for example, multiple sclerosis and head injury and spinal cord. However, the lack of data on the mechanisms of this action has so far slowed the possible clinical applications. In fact, despite many of the clinical evidence of cannabis and its derivatives, the mechanisms by which the active ingredients in cannabis exert a neuroprotective are not fully known. New light on the actual capacity of this drug and therapeutic mechanisms of action of the same come now to a further study in this field by the Institute Saint Lucia Foundation of Rome in collaboration with the University of Teramo. The scientific work was published in the prestigious international journal “Journal of Molecular Medicine”. The study has allowed, for the first time, to characterize the relationship between the stimulation of Cannabis and the action of a gaseous compound well known for its actions on cells of the central nervous system (CNS): nitric oxide. This molecule, for decades the focus of researchers is involved in the regulation of important functions in the CNS and plays a neuroprotective actions both in the sense that neurotoxic. The Research Foundation of Saint Lucia and the University of Teramo has shown how, precisely through the cannabinoid receptors, and especially the cannabico receptor type 2, it can direct the effects of nitric oxide in the sense neuroprotective or neurotoxic. It ‘been a step forward for the development of drugs that act selectively inducing nitric oxide and this only thanks to the neuroprotective effects of cannabis. In conclusion, the study allows both to take another step forward in understanding the mechanism by which the active ingredient of cannabis exerts its neuroprotective after brain injury, is to look with greater interest in the use of these substances in a clinical setting for both acute and chronic diseases of the CNS. With these results, we now open interesting perspectives in the therapeutic development of new pharmacological approaches are useful for diseases that are common, such as stroke and multiple sclerosis, can “exploit” the neuroprotective properties of the oxide ‘nitrogen mediated by the action of cannabis. This important evidence has been obtained by using advanced techniques of biochemistry, confocal microscopy Neuromorphology functional, pharmacological testing and evaluation of behavioral recovery in animal model after damage to central nervous system. The scientific work was held at the Foundation in Saint Lucia of the research in Experimental Neuroscience directed by prof. Giorgio Bernardi. All of the study was coordinated by prof. * Marco Molinari and Prof.. Mauro Maccarrone, was attended by Sergio Oddi, Latin Laura, Maria Teresa Viscomi and Elisa Bisicchia. With Saint Lucia Foundation of Rome has worked in the Department of Comparative Biomedical Sciences, University of Teramo directed by prof. Maccarrone and which also includes Dr. Oddi. The results of this new work is added to those of previous studies conducted in 2009 and 2010 by researchers at the Foundation on the role of endocannabinoids in neurological diseases. Rome, January 20, 2012 * Marco Molinari – is Head of the Laboratory of Experimental Neurorehabilitation and Director of the Unit Complex Rehabilitation Section Neuromotor and SCI Foundation IRCCS Saint Lucia. He has authored over 200 scientific contributions including over 100 international journals indexed in neurology in particular for the study of mechanisms of functional recovery after CNS injury. |
SNC e patologie cardiache… ho trovato questo!
malattie neurologiche e problemi cardiaci
Cervello plastico…e Sacks
A ciascuno la \”sua\” cecità… e Oliver Sacks
Che il cervello umano avesse numerose risorse, già lo sapevamo, leggetevi questo articolo che ho trovato su internet!
http://www3.lastampa.it/cultura/sezioni/articolo/lstp/433482/
Nell’ Occhio della mente il grande neurologo racconta la perdita della visione in 3D. Partendo
da un dramma personale
Chiudete un occhio e allargate le braccia all’altezza delle spalle. Ora muovete le braccia davanti a voi e provate a far incontrare la punta dell’indice sinistro con la punta dell’indice destro. Quasi certamente mancherete il contatto. Benché conosciate bene le vostre braccia, senza la visione in tre dimensioni è difficile muoverle con precisione, e la visione stereo richiede due punti di vista, cioè due occhi. Però non basta. Se guardiamo prima con un occhio e poi con l’altro vediamo due immagini alquanto diverse, specie per gli oggetti vicini. Eppure usando entrambi gli occhi le immagini si fondono in una sola: un’immagine più ricca di informazione, che ci permette di stimare la distanza e le posizioni relative delle cose. L’elaborazione per arrivare a questo risultato è complessa e non avviene negli occhi ma nel cervello, come del resto succede per tutto ciò che riguarda i nostri sensi. Lo si scopre quando nel cervello qualcosa non funziona.
Alla visione in 3D Oliver Sacks, neurologo inglese che vive negli Stati Uniti e celebre narratore di casi clinici, dedica gran parte del suo ultimo libro, L’occhio della mente (Adelphi, 270 pagine, 19 euro). Un capitolo riguarda Sue Barry, moglie di un astronauta, lei stessa neurologa.
Sue era nata strabica ma tre interventi chirurgici ai muscoli oculari le avevano riallineato gli occhi. Peccato che fosse tardi. Ormai aveva 7 anni, ed è nei primi due anni di vita che il cervello costruisce i più importanti circuiti neuronali della vista. La visione in 3D di Sue rimase quindi imperfetta, ma lei non se ne accorgeva perché riusciva a fare una vita del tutto normale. Fu a cinquant’anni che intervenne un grave peggioramento. Il suo mondo era diventato piatto.
Sotto la guida di una optometrista, Sue iniziò una lunga serie di esercizi per fondere in una sola le immagini fornite dai suoi occhi. Così, con pazienza e testardaggine, ha recuperato la visione stereo (parola che in greco, ci ricorda Sacks, significa solido). Come è stato possibile?
La risposta viene dalle neuroscienze degli ultimi vent’anni: il cervello è plastico. Colpito da un trauma o sottoposto a esercizi costanti, entro certi limiti riesce a elaborare circuiti neuronali alternativi. Oggi Sue prova un incredibile piacere nel percepire il mondo: «Intorno a me stava cadendo lenta la neve, in grandi fiocchi bagnati. Vedevo lo spazio tra un fiocco e l’altro, e tutti insieme producevano una meravigliosa danza tridimensionale». Il successo di mediocri film in 3D si deve a questo: con i loro effetti speciali ci rendono consapevoli della spazialità in cui siamo immersi, altrimenti data per scontata.
Tranne Zio Tungsteno , tutti i libri di Sacks, dal primo e famoso Risvegli portato sullo schermo da Robin Williams e Robert De Niro, a L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello , a Vedere voci eccetera, raccontano casi clinici nei quali un trauma o un difetto genetico svelano qualche funzione cerebrale. È una esplorazione nella quale la scoperta scientifica germoglia dalla malattia. Il tutto in una concezione olistica e umanistica del rapporto medicopaziente che sfocia in buona letteratura. Ma il secondo caso di perdita della visione in 3D che Sacks riporta nell’ Occhio della mente è speciale perché è la storia del melanoma, un tumore maligno, che gli ha portato via l’occhio destro.
Qui il dramma personale prevale sul distacco scientifico, il caso clinico è così poco metabolizzato che Sacks è riuscito a raccontarlo solo in forma di diario, una presa diretta che fa percepire tutte le sue paure e le sue angosce. Nonostante ciò, Sacks conserva una serenità sufficiente per riferire un’esperienza rivelatrice: «Vidi due uomini che venivano verso di noi, entrambi con una camicia bianca. Mi fermai, chiusi gli occhi e mi accorsi che potevo continuare a osservarli. Quando riaprii gli occhi, rimasi sorpreso nello scoprire che gli uomini in camicia bianca non c’erano più. Ci avevano superati incrociandoci». Insomma, colpita dal tumore, la percezione visiva gli dava una visione differita, gli consentiva di vedere nel passato prossimo. «Questa persistenza della visione mi divertiva», conclude Sacks. Era la prova provata su se stesso che è la mente a vedere, qualunque cosa sia la mente intesa come funzione astratta che emerge dal cervello anatomico.
In effetti L’occhio della mente è un campionario di cecità diverse: la pianista che non riesce più a leggere uno spartito, la pittrice che dopo un ictus perde e recupera la parola, l’autore di romanzi polizieschi che continua a scrivere ma non può rileggersi perché colpito da alessia, lo stesso Sacks che – come il 5 per cento della popolazione – stenta a ricordare il volto delle persone, anche le più amiche, il cieco che continua a vedere creandosi immagini mentali. Come dire: a ognuno la sua cecità. Il che è anche un apologo.
In the ‘mind’s eye the great neurologist, says the loss of vision in 3D. Starting
from a personal tragedy
Piero Bianucci
turin
Close one eye and hold out your arms to shoulder height. Now move your arms in front of you and try to bring together the left index finger with the tip of his right. Almost certainly miss the contact. Though you know well your arms, without a vision in three dimensions is difficult to move with precision, and stereo vision requires two points of view, ie two eyes. But not enough. If we look first with one eye and then with the other two images look quite different, especially for near objects. Yet both eyes using the images merge into one: a more information-rich, which allows us to estimate the distance and the relative positions of things. The processing to achieve this is complex and does not occur in the eye but in the brain, as is the case for everything related to our senses. It is discovered in the brain when something does not work.
The 3D viewing Oliver Sacks, neurologist English who lives in the United States and famous narrator of clinical cases, devotes much of his latest book, The Eye of the Mind (Vintage, 270 pages, 19 euros). A chapter about Sue Barry, the wife of an astronaut, she neurologist.
Sue was born cross-eyed but three eye muscle surgery to realign the eyes they had. Too bad it was late. By now she was 7 years old, and is in the first two years of life that the brain constructs neural circuits of the most important view. The 3D vision of Sue was so imperfect, but she did not realize it because they could make a living completely normal. It was a serious deterioration in fifty years that intervened. His world had gone flat.
Under the guidance of an optometrist, Sue began a long series of exercises to fuse the images provided in one of his eyes. So, with patience and persistence, has recovered the stereo vision (in the greek word, Sacks reminds us, means solid). How was this possible?
The answer comes from neuroscience in the last twenty years: the brain is plastic. Affected by trauma or subjected to constant exercise, within certain limits can develop alternative neural circuits. His trial today an incredible pleasure in perceiving the world: “All around me was falling slowly the snow, in large wet flakes. I saw the space between a jib and the other, and together they produced a beautiful dance-dimensional. ” The mediocre success of 3D movies is due to this, with their special effects make us aware of spatiality in which we are immersed, or taken for granted.
Except Uncle Tungsten, Sacks all the books, the first and most famous Awakenings brought to the screen by Robin Williams and Robert De Niro in The Man Who Mistook His Wife for a Hat, a See entries, etc., tell clinical cases in which trauma reveal some genetic defect or brain function. It is an exploration of scientific discovery in which sprouts from the disease. All this in a holistic and humanistic doctor-patient relationship that leads to good literature. But the second case of loss of vision in 3D back in Sacks’ eye of the mind is special because it is the history of melanoma, a malignant tumor, which has taken away the right eye.
Here the personal drama takes precedence over scientific detachment, the clinical case is metabolized so little that Sacks was able to tell only in diary form, which is a direct drive feel all his fears and anxieties. Nevertheless, Sacks maintains a calm enough to tell a revelatory experience: “I saw two men coming towards us, both with a white shirt. I stopped, closed my eyes and I realized that I could continue to observe them. When I opened my eyes, I was surprised to discover that the men in white shirts were gone. We were crossing of intersections. ” In short, developed cancer, visual perception gave him a vision deferred, allowed him to see in the recent past. “I enjoyed this persistence of vision,” concludes Sacks. It was the proof of itself that is the mind to see, no matter what the mind is understood as abstract function that emerges from the brain anatomy.
In fact, the mind’s eye is a different sample of blindness: the pianist who can no longer read music, the artist who, after a stroke and recovers lost the word, the author of detective novels who continues to write but can not reread it hit by alexia, Sacks himself who – like 5 percent of the population – hard to remember people’s faces, even the most friendly, the blind man who continues to see creandosi mental images. As if to say: to each his blindness. This is also a fable.