Da “Il Piccolo Alessandria”, ringrazio il direttore Alberto Marello che mi ha donato uno spazio. Sono stanca di essere solo un corpo. Lettera aperta inviata davvero ad un medico, un attimo della mia vita dolorosamente lesa nel mio intimo essere solo Persona e non….
Categoria: Persona e danno
TELEFONO ROSA
http://www.telefonorosatorino.it/
Una Associazione dedicata alle donne in difficoltà.
Telefono Rosa Piemonte
Centro di Orientamento per i Diritti delle Donne
011.530666 – 011.5628314
La violenza sessuale, i maltrattamenti fisici e psicologici, i ricatti e le molestie sessuali, sono reati particolarmente odiosi perché colpiscono la donna nella sua identità, oltre che nella sua integrità fisica e psicologica.
Così colpita, la donna si sente spesso sopraffatta, privata della capacità di reagire e copre con il suo silenzio una realtà che vive e si nutre di paura.
Tutto questo avviene proprio là ove la donna dovrebbe sentirsi più sicura: la propria casa, il luogo di lavoro, la sua città.
Per questo è nato Telefono Rosa: la creazione di un luogo di ascolto e di incontro per le donne che intendono affrancarsi da situazioni di violenza e di maltrattamento, dentro e fuori la famiglia.
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L’Associazione offre una seria competenza in ambito di “caregiver” .
La donna spesso e statisticamente più di quanto si creda, si trova sola in ambito famigliare a dover gestire dinamiche di coppia legate a problemi insiti nell’io individuale, che ri ribalta negativamente sull’altro. Il coraggio di prendere determinate decisioni nate e cresciute per tramandati atavismi educativi, spesso limita nell’agire creando un circolo vizioso senza uscita.
La richiesta di aiuto, secondo me è il primo passo per una “rinascita” o risalita a riprendersi la propria identità o a riprovare a ricostruire un rapporto che a volte è solo minato da seri problemi di tipo esclusivamente psicologico.
Attualmente la legge italiana, secondo me, non è in grado di fornire una tutela appropriata perchè la ” privacy famosa “
spesso porta ad un “doloroso silenzio” dell’altro che impotente-testimone, non può donare aiuto, ben sapendo che potrebbe ritorcersi su se stesso.
Io vorrei che questo silenzio venisse “interrotto” e che si riprendesse ad attuare una solidarietà sincera verso l’altro.
testamento biologico: io non ho diritto di decidere della mia vita!
e così, non potremo decidere della nostra vita, non potremo esprimere il non accanimento terapeutico… insomma dovranno sempre decidere gli altri al posto mio. ingiusto contro la dignità della persona e il diritto a tutelarsi dalla non vita legalizzata!
Biotestamento, via libera alla Camera…
Rafforzato il ruolo del medico.
Englaro: «E’ incostituzionale»
Dopo molti mesi di dibattito, l’aula della Camera sta per approvare il ddl sul testamento biologico, che dovrebbe ottenere il via libero definitivo entro questa sera. Con le modifiche inserite, “salta” la previsione di un collegio medico per dirimere le controversie tra medico e fiduciario. E’ stato poi specificato ulteriormente che il paziente, nelle Dat, potra’ esprimere «orientamenti» e non indicazioni o volontà.
Viene infine aggiunto, con un emendamento Udc, un nuovo comma che stabilisce che il medico, qualora non intenda seguire gli orientamenti espressi dal paziente nelle Dat e’ tenuto a sentire il fiduciario o i familiari (quelli riconosciuti dal Codice civile nell’asse di ereditarieta’) e ad esprimere la sua decisione motivandola in modo approfondito, sottoscrivendola sulla cartella clinica o comunque su un documento scritto allegato alla dat. In pratica, con l’insieme di queste modifiche si rafforza il ruolo del medico nelle decisioni sul paziente.
La Camera ha poi soppresso l’articolo 8 del ddl sul biotestamento che dava indicazioni sull’intervento della magistratura in caso di contrasto su decisioni relative al consenso a trattamenti sanitari perchè, come spiega Benedetto Fucci (Pdl), la magistratura ha già tutti gli strumenti per intervenire.
Il Senatore Raffaele Calabrò, già relatore del ddl a Palazzo Madama, ritiene che l’approvazione del provvedimento dimostrerà che «resiste quel nocciolo di valori, che sono quelli della tutela della vita, del no all’eutanasia e all’accanimento terapeutico, di cui il Pdl si e’ fatto fermo paladino, e intorno al quale si riconosce la maggioranza degli italiani, dall’Udc alla Lega passando per una minoranza del Pd». Ma non mancano le voci critiche sul ddl all’interno della maggioranza. Daniele Capezzone, portavoce del Pdl, ammette: «Se fossi in parlamento, non lo voterei».
Sul tema è intervenuto anche Beppino Englaro, che ha parlato di un disegno di legge «incostituzionale» che va «contro i principi del diritto». Presente alla conferenza stampa indetta da Ignazio Marino sul testamento biologico, il papà di Eluana si è detto convinto del fatto che la norma vada in direzione opposta alla sentenza del 16 ottobre del 2007 della Corte Suprema di Cassazione: «L’autodeterminazione terapeutica non può incontrare un limite anche se ne consegue la morte, che non ha niente a che vedere con l’eutanasia. Nessuno, nè lo Stato nè un medico può disporre della salute di un cittadino. Le libertà fondamentali delle persone non possono essere messe in discussione da una legge. Questo è chiaro… Più anticostituzionale di così si muore…».
Dall’opposizione intanto si levano più voci critiche sul provvedimento. Per Margherita Miotto, capogruppo Pd in commissione Affari sociali della Camera, «la proposta di legge che la destra approva ha l’unico scopo di impedire che la nutrizione artificiale venga interrotta, così come era previsto nel decreto presentato dal governo durante la vicenda di Eluana Englaro. A distanza di due anni, la destra è riuscita, con la scusa di una legge sul testamento biologico, a raggiungere
questo scopo». Secondo la Miotto questa legge «apre anche la strada ad una lunga serie di ricorsi alla magistratura a causa delle tante contraddizioni e dei divieti in essa contenuti».
Durissima la presa di posizione dei radicali, che attraverso il segretario Staderini attaccano: «Con la legge 40 hanno rubato la vita e la liberta di ricerca scientifica, con la legge Calabrò ci rubano anche la morte. Questi moderni aguzzini vogliono, attraverso il sondino di Stato imposto per legge, disinnescare le conquiste di libertà che Piergiorgio Welby e la famiglia Englaro hanno
assicurato agli italiani con la loro lotta».
Bocciatura netta anche da parte di Nichi Vendola, che afferma: «L’obbligo di soffrire per legge non è umano, non è dignitoso. E’ una legge che sottrae agli italiani la libertà di decidere sulla propria vita. E’ una legge che chiede ai medici non di curare, ma di costringere alle cure». «E’ una legge violenta che invade un terreno dove lo Stato deve rispettare, non imporre – conclude il leader di Sinistra e Libertà – ancora una volta questo parlamento dimostra la sua distanza dalla vita degli italiani».
iniziamo a conoscere qualche cosa sui LEA
PIANO Sanitario 2011/2013 e LEA
3. MONITORAGGIO, APPROPRIATEZZA ED
UNIFORMITÀ DEI LEA
3.1.1 Livelli essenziali di assistenza (Lea)
Con riferimento ai livelli essenziali di assistenza le disomogeneità tra Regioni sono evidenti
sia in ambito ospedaliero che territoriale.
In particolare se analizziamo il tasso di ospedalizzazione per mille abitanti standardizzato per
età, riferito ai soli ricoveri per acuti, in regime ordinario, è possibile notare che nel 2008 tale
valore presenta, nelle diverse Regioni, forti variabilità: si va da 158,95 ricoveri per mille
abitanti annui della Regione Puglia, a 99,53 della Regione Piemonte pari ad una differenza
del 37% circa, contro un valore nazionale di 127,89 ricoveri per mille abitanti, annui.
La riorganizzazione della rete ospedaliera rimane un punto critico, da affrontare con grandi
problematicità che investono sia aspetti economici-organizzativi sia socio-culturali delle
popolazioni locali. In tutte le regioni che hanno sottoscritto l’Accordo sul piano di rientro dai
disavanzi sanitari il livello di ospedalizzazione è decisamente troppo elevato. Si tenta di
risolvere con l’offerta ospedaliera, spesso inadeguata e inappropriata le carenze del territorio,
dell’emergenza e della medicina primaria.
Valutare la sostenibilità economica dell’assistenza sanitaria e l’effettiva erogazione dei
Livelli Essenziali di Assistenza, nonché l’appropriatezza delle prestazioni ricevute dai
residenti di ciascun contesto regionale risulta quindi sempre più indispensabile. Ne consegue
la necessità di sviluppare strumenti di misura delle prestazioni, di analisi e confronto
attraverso il diretto coinvolgimento dei diversi livelli istituzionali del Ssn. Fondamentale, a
tali fini, la cornice di riferimento costituita dal patrimonio informativo reso disponibile
nell’ambito del Nuovo Sistema Informativo Sanitario (NSis) e dalle metodologie di supporto
alla lettura dei dati ed alla comprensione dei fenomeni sanitari, consolidate nell’ambito del
Sistema nazionale di Verifica e Controllo dell’Assistenza Sanitaria (SiVeAS).
Le disomogeneità presenti nella domanda e nell’offerta dei servizi sanitari sono registrate
anche nell’ambito dei lavori del Comitato permanente per la verifica dei Lea in condizioni di
appropriatezza ed efficacia nell’utilizzo delle risorse, di cui all’Intesa Stato-Regioni del 23
marzo 2005, di cui uno strumento è la cosiddetta “griglia Lea” che consente di conoscere e
cogliere nell’insieme le diversità ed il disomogeneo livello di erogazione dei livelli di
assistenza, attraverso l’utilizzo di un definito set di indicatori ripartiti tra l’attività di
assistenza negli ambienti di vita e di lavoro, l’assistenza territoriale e l’assistenza
ospedaliera.
Risultano pertanto necessarie le seguenti azioni:
• l’individuazione analitica dei Livelli essenziali di assistenza, vale a dire
l’individuazione del perimetro all’interno del quale il diritto all’assistenza è
pienamente esigibile, a condizione che sussistano le condizioni di appropriatezza
clinica, è il compito prioritario che la Costituzione attribuisce al livello centrale dello
Stato. Occorre rilevare però la necessità di semplificare modalità e procedure di
adeguamento dei Lea all’innovazione scientifica e tecnologica attività che, nel settore
parallelo dell’assistenza farmaceutica, sono garantite dall’Agenzia italiana del
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farmaco. Nei prossimi anni occorre impegnarsi a rivedere le procedure di
aggiornamento dei Livelli essenziali di assistenza, prevedendo che, ove
l’aggiornamento non comporti oneri aggiuntivi, le relative decisioni possano essere
assunte da organi tecnici paritetici Stato-Regioni; negli altri casi sarebbe auspicabile
che, in sede di determinazione annuale delle risorse complessive messe a
disposizione del Servizio sanitario nazionale, fosse preventivamente individuata la
quota corrispettiva da destinare all’aggiornamento dei Livelli. Altro impegno deve,
inoltre, essere rivolto a:
• la promozione di obiettivi di appropriatezza nell’erogazione delle prestazioni, in
particolare per quelle per le quali era prevista la eliminazione dai Lea, attraverso la
promozione di linee guida, di protocolli diagnostici terapeutici, di priorità
nell’erogazione delle prestazioni in presenza di determinate patologie, presunte o
accertate (oncologia, malattie rare, patologie autoimmuni o altre da individuare);
• l’individuazione di ulteriori condizioni di non appropriatezza sia in sede di ricovero
(ulteriori Drg inappropriati) sia nell’ambulatoriale, per le quali una programmazione
di contenimento consenta di ricavare margini per lo sviluppo delle prestazioni
innovative quali: protesica innovativa, malattie rare, alta tecnologia, vaccino HPV.
L’individuazione dei Livelli essenziali comporta anche la determinazione di alcune
caratteristiche essenziali delle attività, dei servizi e delle prestazioni tali per cui, in loro
assenza, la prestazione o il servizio non possa essere qualificata come tale. Queste
caratteristiche possono riguardare, ad esempio, il tempo minimo di durata di una prestazione,
la dotazione tecnologica minima necessaria per garantire la sua qualità, la presenza o la
disponibilità in servizio di personale qualitativamente e quantitativamente adeguato, la
garanzia di accesso al servizio per appuntamento, e così via. Questa tematica si avvicina
quella della valutazione e del monitoraggio dei servizi sanitari attraverso la fissazione di
“standard” o “parametri di riferimento” ma attiene, in questa prospettiva, alla individuazione
di requisiti “qualificanti” della specifica attività e si colloca quindi a pieno titolo all’interno
della definizione dei Livelli.
L’uniforme applicazione dei Lea a livello nazionale deve comunque salvaguardare le
specificità territoriali, in rispondenza alle analisi dei bisogni e delle risorse di ciascun
contesto locale.
3.1.2 Liste di attesa
Inquadramento generale
La gestione delle liste e dei tempi di attesa rappresenta un problema diffuso nella maggior
parte dei Paesi che dispongono di un’organizzazione sanitaria complessa e di tipo
universalistico.
Anche per il nostro Servizio Sanitario Nazionale il contenimento dei tempi di attesa è una
priorità dell’assistenza sanitaria a garanzia dell’equità e della qualità delle cure, come più
volte espresso sia nei Piani sanitari nazionali, che in altri atti normativi e di
programmazione nazionale, tra i quali il Dpcm 16 aprile 2002 “Linee guida sui criteri di
priorità per l’accesso alle prestazioni diagnostiche e terapeutiche e sui tempi massimi di
attesa”, che poneva tale criterio quale componente strutturale dei livelli essenziali di
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assistenza ed a cui fece seguito l’Accordo Stato-Regioni dell’11 luglio 2002, che definì una
proposta di sistema per regolare l’erogazione di prestazioni sanitarie in base a classi di
priorità cliniche di accesso alle medesime prestazioni.
Il punto di approdo delle iniziative nazionali di carattere pattizio con le Regioni è stato
l’Intesa Stato Regioni del 28 marzo 2006, sul “Piano nazionale di contenimento dei tempi di
attesa” (Pncta). Con tale atto, di respiro triennale (2006-2008), si è arrivati a condividere un
percorso per la gestione delle Liste di Attesa, finalizzato a garantire un appropriato accesso
dei cittadini ai Servizi Sanitari secondo criteri di appropriatezza e di urgenza, garantendo la
trasparenza a tutti i livelli di programmazione, di organizzazione e di erogazione delle
prestazioni sanitarie. Il Piano prevedeva l’obbligo per le Regioni di dotarsi di un Piano
regionale come strumento programmatico unico e integrato, per le Aziende sanitarie di
definire un Piano attuativo locale degli interventi programmati a livello regionale, nonché
un insieme di attività di monitoraggio da realizzarsi a livello centrale da parte del Ministero
della Salute e dell’Agenzia per i Servizi sanitari regionali. Le Regioni dovevano garantire il
governo della domanda attraverso il ricorso appropriato alle attività del SSN in base a criteri
di priorità nell’accesso, razionalizzare ed ottimizzare l’offerta delle prestazioni da parte delle
Aziende Sanitarie, gestire razionalmente il sistema degli accessi mediante la
riorganizzazione del Cup, rivedere periodicamente l’attività prescrittiva e promuovere la
refertazione tempestiva delle prestazioni effettuate, riorganizzare l’attività libero
professionale intramuraria (Alpi) e fissare i tempi massimi regionali per le prestazioni
contemplate dal Piano Nazionale.
Attraverso le attività di monitoraggio condotte dal Ministero della Salute, si è potuto
evidenziare che tutte le Regioni hanno adottato un proprio Piano, in cui hanno individuato
gli interventi necessari per la realizzazione di quanto era stato previsto nel Piano Nazionale.
Tuttavia, l’attuazione degli interventi nei vari contesti regionali non ha ancora raggiunto i
livelli di valutazione sistematica su tutto il territorio nazionale, richiedendo un rinnovato
impegno a tale riguardo.
Individuazione delle azioni strategiche da promuovere
Le numerose iniziative condotte fino ad oggi e i risultati conseguiti nel dare seguito agli atti
di programmazione nazionale adottati di concerto con le Regioni e P.A., confermano
l’urgenza di rilanciare in maniera più sistematica ed integrata le azioni di miglioramento per
l’accesso al Ssn, secondo criteri di appropriatezza ed equità. In particolare, risulta
fondamentale garantire l’accesso alle prestazioni sanitarie, territoriali e di ricovero
ospedaliero, secondo specifici percorsi diagnostico terapeutici individuati in sede regionale,
in assenza dei quali sarà difficile garantire appropriatezza e tempestività delle attività
sanitarie, ma anche offrire ai cittadini gli strumenti per una migliore conoscenza del sistema,
ai fini della trasparenza e dell’equità nell’accesso.
In tal senso, il Ministero ha elaborato la proposta per il Nuovo Piano Nazionale di Governo
delle Liste di Attesa per il triennio 2009-2011, espresso in Conferenza Stato Regioni del 28
ottobre 2010, che indica le azioni strategiche che devono essere condotte, in collaborazione
tra tutti gli attori del sistema. In particolare, gli elementi innovativi sono l’uso obbligatorio
delle classi di priorità per le prenotazioni sia ambulatoriali che di ricovero, la definizione di
percorsi diagnostico terapeutici (Pdt) in due aree prioritarie quali quella cardiovascolare ed
oncologica ed i relativi tempi d’attesa, la messa a sistema dei flussi informativi per il
monitoraggio sia delle prestazioni ambulatoriali che di ricovero, l’informazione trasparente
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al cittadino attraverso la presenza dei tempi d’attesa sui siti web di Regioni e P.A. e di
Aziende sanitarie pubbliche e private accreditate, la sistematica integrazione tra la libera
professione intramuraria svolta a carico dell’azienda e quella a carico del cittadino, lo
sviluppo coerente di iniziative di Information & Communication Technologies per la
gestione automatizzata del processo di prescrizione, prenotazione e refertazione.
Anche le cure primarie e i relativi modelli organizzativi hanno il compito di partecipare alla
realizzazione di PdtT e di condividere le linee guida sulle prescrizioni
diagnostiche/specialistiche.
I 10 obiettivi da raggiungere nel triennio di vigenza del Psn
E’ necessario sostenere e realizzare un sistema di accesso alle prestazioni nell’ambito di
specifici percorsi diagnostico terapeutici per le patologie di maggiore diffusione e impatto e,
nell’attesa di una diffusione omogenea sul territorio nazionale del loro utilizzo, vanno
promossi e sviluppati una serie di interventi tra i quali sono da considerare prioritari:
1. l’uso diffuso delle classi di priorità per le prenotazioni sia ambulatoriali che di ricovero,
vale a dire che le prestazioni devono essere garantite sulla base del quadro clinico
presentato dal paziente;
2. l’individuazione e lo sviluppo di percorsi diagnostico terapeutici (Pdt) nell’area
cardiovascolare e oncologica, considerate priorità di sistema, e la fissazione dei relativi
tempi massimi di attesa a garanzia della tempestività della diagnosi e del trattamento;
3. lo sviluppo e la messa a sistema di opportune soluzioni operative per la gestione dei
flussi informativi disponibili per il monitoraggio dei tempi d’attesa per le prestazioni
ambulatoriali e per quelle di ricovero programmato, erogate singolarmente o nell’ambito
di specifici percorsi, garantite dal Ssn sia in ambito istituzionale che in libera
professione, a garanzia della affidabilità e trasparenza dei dati sui tempi d’attesa;
4. la definizione delle modalità di utilizzo della libera professione intramuraria nell’ambito
del governo delle liste d’attesa per conto e a carico delle aziende, ai fini del contenimento
dei tempi di attesa per le prestazioni particolarmente critiche in regime istituzionale; la
modalità di verifica e controllo delle prestazioni erogate in libera professione dai
professionisti a favore e a carico dell’utente che ne fa richiesta ai fini del corretto
rapporto tra i due regimi erogativi, prevedendo attività informatizzate di prenotazione per
le prestazioni erogate in libera professione attraverso percorsi dedicati e il monitoraggio
delle relative liste di attesa;
5. la gestione degli accessi attraverso l’uso diffuso del sistema Cup sulla base di quanto
previsto dall’Intesa Stato-Regioni del 29-04-2010, anche prevedendo possibilità di
sviluppo di iniziative di Information & Communication Technologies (Ict) per la
realizzazione di funzionalità automatizzate per la gestione del processo di prescrizione,
prenotazione e refertazione;
6. l’individuazione delle opportune modalità di “ristoro” per il cittadino, prevedendo forme
alternative di accesso alla prestazione, nel caso in cui a livello aziendale non vengano
garantite le prestazioni nei tempi massimi di attesa individuati in sede regionale;
7. la vigilanza sistematica delle situazioni di sospensione della prenotazione e
dell’erogazione delle prestazioni;
8. l’attuazione di interventi condivisi per il miglioramento della qualità prescrittiva, in
particolare per le prestazioni a maggiore criticità in termini di liste e tempi di attesa;
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9. la comunicazione sulle liste d’attesa anche attraverso la valorizzazione della
partecipazione di utenti e di associazioni di tutela e di volontariato, per favorire sia
un’adeguata conoscenza delle attività che delle modalità di accesso alla prenotazione
delle prestazioni, attraverso campagne informative, Uffici relazioni con il pubblico
(Urp), Carte dei servizi, ma anche sezioni dedicate e facilmente accessibili sui siti web
regionali e aziendali;
10. il monitoraggio, in via sistematica, della presenza dei tempi massimi regionali sui siti
web di Regioni e P.A. e di Aziende sanitarie pubbliche e private accreditate, a garanzia
della trasparenza e dell’accesso alle informazioni su liste e tempi di attesa.
Il livello centrale, a garanzia del diritto di tutti gli utenti del Ssn ad ottenere un’informazione
adeguata e trasparente e del diritto di tutti gli operatori ad un ampio confronto e
all’aggiornamento costante, promuove un incontro annuale tra tutti gli attori del sistema,
anche ai fini della trasferibilità delle esperienze più significative.
3.1.3 Integrazione sanitaria e socio sanitaria
La programmazione, gestione, verifica e controllo dell’erogazione delle prestazioni sanitarie
e socio sanitarie legate alla promozione della salute, prevenzione cura e riabilitazione non
può prescindere dall’assunto che:
“Il bisogno di salute è complesso, necessita di interventi “curativi” ed interventi
“assistenziali”: nel garantire l’appropriatezza dell’intervento tecnico sanitario e la continuità
tra cure primarie ed intermedie è necessario attivare un progetto individualizzato di presa in
carico che richieda l’integrazione di servizi ed attività a livello multidimensionale e
multiprofessionale in particolar modo per i cittadini “fragili”.
Predisporre una presa in carico globale della persona “fragile” e della sua famiglia prevede
che gli operatori dei diversi sistemi (sistema sanitario/sistema sociale) favoriscano la
costruzione di una rete integrata tra i servizi sanitari e i servizi sociali: il contesto territoriale,
il Distretto socio-sanitario, deve essere riconosciuto quale unità di riferimento del processo
di programmazione per pensare, programmare e poi attuare il sistema integrato di servizi ed
interventi, nel quadro dei livelli essenziali definiti dall’art.22 della L.328/2000.
Promuovere l’ integrazione socio-sanitaria nei servizi alla persona deve considerare quali
fondanti le due istanze costitutive:
• integrazione di responsabilità: quando diversi centri di responsabilità si integrano,
condividono obiettivi, risorse e responsabilità per conseguire i risultati attesi;
• integrazione di risorse: intese come abilità, competenze, saperi che generano
maggiori possibilità di fronteggiare problemi complessi e non affrontabili facendo
leva su risorse singole, anche molto qualificate ma settoriali e, per definizione, non
adeguate ad affrontare problemi di più ampia portata.
………………………………….
piccolo stralcio, andate a leggere tutto… è molto interessante anche a livello statistico..
reddito personale e benefici di legge per gli invalidi civili gravi.
sentenza Cassazione su reddito e invalidità..
dal sito:
Cassazione – invalidità 100% – vale solo il reddito personale dell’invalido. |
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IMPORTANTE SENTENZA DELLA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE IN TEMA DI PENSIONE DI INABLITA’ CIVILE. LA SUPREMA CORTE HA CASSATO LA SENTENZA DELLA CORTE DI APPELLO DI ROMA CHE, AI FINI DELLA EROGAZIONE DELLA PENSIONE DI INABILITA’, RITENEVA CHE DOVEVA FARSI RIFERIMENTO AL REDDITO FAMILIARE. CON LA SENTENZA N. 7259 DEL 25 MARZO 2009 LA CASSAZIONE HA RITENUTO CHE “AI FINI DELL’ACCERTAMENTO DEL REQUISITO REDDITUALE RICHIESTO PER LA PENSIONE DI INABILITA’ VA CONSIDERATO IL REDDITO DELL’INVALIDO ASSOGGETTABILE ALL’IMPOSTA SUL REDDITO DELEL PERSONE FISICHE”
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RAVAGNANI Erminio – Presidente
Dott. BATTIMIELLO Bruno – Consigliere
Dott. LAMORGESE Antonio – rel. Consigliere
Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere
Dott. CELLERINO Giuseppe – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
V.M.L., nella qualità di procuratrice generale ad negozia della sig.ra D.J., in forza della procura generale ad negozia rilasciata per atto notaio Raniero Vanzi in Roma 19/09/2003 (rep. 48108 – 5339), elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE LIBIA 58, presso lo studio dell’avvocato FERRI PIETRO, che la rappresenta e difende giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore avv. S.G.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale, rappresentato e difeso dagli avvocati RICCIO ALESSANDRO, VALENTE NICOLA, GIANNICO GIUSEPPINA giusta procura speciale in calce al controricorso;
– controricorrente –
e contro
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, REGIONE LAZIO;
– intimati –
avverso la sentenza n. 8092/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA, del 21/11/2005 depositata il 28/12/2005;
viste le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale Dott. FEDELI MASSIMO, che ha concluso per la trattazione del ricorso in pubblica udienza.
Svolgimento del processo
Con sentenza depositata il 28 dicembre 2005, la Corte di appello di Roma ha rigettato l’impugnazione proposta da D.J. nei confronti dell’INPS, della Regione Lazio e del Ministero dell’Economia e delle Finanze, avverso la decisione con la quale il Tribunale della stessa sede, accogliendo parzialmente la domanda avanzata con il ricorso introduttivo, le aveva riconosciuto il diritto all’indennità di accompagnamento soltanto dal 1 gennaio 2000, ma non la pensione di inabilità.
Quanto a quest’ultima prestazione, la Corte territoriale ha rilevato il difetto del requisito reddituale, non avendo l’appellante documentato i redditi dell’intero nucleo familiare, mentre, per l’indennità di accompagnamento, che generiche erano le critiche mosse dall’assistibile in ordine all’epoca di insorgenza delle condizioni di non autosufficienza, determinata dal consulente tecnico di ufficio in modo congruamente motivato con riferimento al deterioramento del quadro clinico verificatosi nel 1999/2000.
Per la cassazione della sentenza l’assistibile ha proposto ricorso con due motivi, cui ha resistito con controricorso l’Istituto.
Disposta la trattazione della causa in Camera di consiglio, il Procuratore Generale ha concluso come in atti.
Motivi della decisione
Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione della L. 30 marzo 1971, n. 118, art. 12, e L. 30 aprile 1969, n. 153, art. 26.
Addebita alla sentenza impugnata di avere ritenuto che ai fini del requisito del reddito per la prestazione in esame, debba farsi riferimento al reddito complessivo dei componenti del nucleo familiare risultanti dallo stato di famiglia; mentre il denunciato art. 26, espressamente dispone che per la comparazione col c.d. limite reddituale, quale elemento costitutivo del diritto al beneficio, si deve tenere conto dei redditi dell’invalido e, se coniugato, dei redditi del coniuge.
Il secondo motivo denuncia vizio di motivazione e critica la sentenza impugnata perchè non ha spiegato le ragioni in base alle quali va considerato, ai fini del requisito reddituale per la prestazione in questione, il reddito dei soggetti anagraficamente iscritti nello stato di famiglia, ancorchè non obbligati nei confronti dell’assistibile.
Il ricorso è manifestamente fondato.
La L. 20 marzo 1971, n. 118, art. 12, nel disporre la concessione della pensione di inabilità ai mutilati ed invalidi civili, di età superiore agli anni diciotto e dichiarati totalmente inabili al lavoro, al secondo comma rinvia, quanto alle condizioni economiche per l’attribuzione del beneficio, a quelle previste dalla L. 30 aprile 1969, n. 153, art. 26, come poi modificato dal D.L. 2 marzo 1974, n. 30, art. 3, convertito, con modificazioni, nella L. 16 aprile 1974, n. 114, recante norme per le pensioni sociali. In base all’art. 26, come innanzi modificato, potevano fruire della pensione sociale i cittadini con redditi propri assoggettabili all’imposta sul reddito delle persone fisiche per un ammontare non superiore a L. 336.050, annue, e se coniugati, un reddito, cumulato con quello del coniuge, non superiore a L. 1.320.000, annue.
A norma del D.L. 30 dicembre 1979, n. 663, art. 14 septies, comma 4, questi limiti di reddito per le pensioni di invalidità, con decorrenza dal 1 luglio 1980 sono stati elevati a L. 5.200.000, calcolati agli effetti dell’IRPEF e rivalutabili annualmente secondo gli indici di valutazione delle retribuzioni dei lavoratori dell’industria, rilevate dall’ISTAT agli effetti della scala mobile sui salari.
Come è stato già evidenziato da Cass. 22 marzo 2001 la locuzione “limiti di reddito … calcolati agli effetti IRPEF indica in modo chiaro come il legislatore, nel ritenere che debba avere rilievo solamente la situazione personale dell’invalido, abbia voluto prendere a parametro il reddito dell’assistibile assoggettabile all’IRPEF, a norma del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 3 e ss., e successive modificazioni.
Tale principio è stato di recente confermato dalla pronuncia 9 luglio 2008 n. 18825, la quale richiama le precedenti affermazioni nello stesso senso di Cass. 21 ottobre 1994 n. 8668 e 11 dicembre 2002 n. 17664, ed esso trova conferma pure nella giurisprudenza costituzionale, ove si è evidenziato che il legislatore con il D.L. 30 dicembre 1979, n. 663, art. 14 septies, introdotto con la legge di conversione 29 febbraio 1980, n. 33, ha dato rilievo ai fini dell’erogazione della pensione di inabilità al solo limite di reddito individuale, e così anche nel caso dell’assegno corrisposto agli invalidi parziali, secondo quanto disposto dal medesimo art. 14 septies, nonchè dal D.L. 22 dicembre 1981, n. 791, art. 9, convertito nella L. 26 febbraio 1982, n. 54, e poi ancora dalla L. 30 dicembre 1991, n. 412, art. 12, (v. Corte Costituzionale n. 400 del 1999 e n. 88 del 1992).
Del resto, il decreto del Ministero dell’Interno 10 gennaio 1996, concernente la determinazione per l’anno 1996 degli importi delle pensioni, degli assegni e delle indennità a favore dei mutilati ed invalidi civili, ciechi civili e sordomuti, nonchè dei limiti di reddito prescritti per la concessione delle provvidenze stesse, fissava in L. 21.103.645, il limite di reddito dell’assistibile per fruire della pensione di inabilità, senza fare alcun accenno al reddito dei componenti del nucleo familiare.
Non è perciò condivisibile il diverso orientamento elaborato da Cass. 20 novembre 2002 n. 16363 e da Cass. 19 novembre 2002 n. 16311, e ancora precedentemente da Cass. 1992 n. 8816, che ritengono doversi fare riferimento, ai fini dell’accertamento del requisito reddituale per la prestazione in esame, al reddito del nucleo familiare dell’assistibile, sol perchè il cit. art. 14 septies, al comma 4, non contempla l’esclusione, ai fini del calcolo del suddetto requisito reddituale dell’invalido, di quello percepito da altri componenti il suo nucleo familiare, così come invece espressamente previsto dal cit. art. 14 septies, comma 5, per l’assegno mensile in favore dei mutilati e invalidi civili di cui alla L. n. 118 del 1971, artt. 13 e 17.
L’accoglimento del primo motivo comporta evidentemente l’assorbimento del secondo.
Accolto il ricorso, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla stessa Corte di appello di Roma, in diversa composizione, la quale si atterrà al seguente principio di diritto: “Ai fini dell’accertamento del requisito reddituale richiesto per la pensione d’inabilità va considerato il reddito dell’invalido assoggettabile all’imposta sul reddito delle persone fisiche“.
Il Giudice di rinvio provvedere anche al regolamento delle spese del giudizio di cassazione.
P. Q. M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 26 gennaio 2009.
Depositato in Cancelleria il 25 marzo 2009
“Trib. Casale Monferrato, 7 maggio 2010, giud. A. Pellegri – “EVITARE IL DOLORE E’ DOVEROSO?” – Maria Rita MOTTOLA
Evitare il dolore è doveroso
Persona e danno
PERSONA e Diritti – Cendon e Partners
24 giugno 2010
“Trib. Casale Monferrato, 7 maggio 2010, giud. A. Pellegri – “EVITARE IL DOLORE E’ DOVEROSO?” –
Il caso è particolarmente penoso: un giovane a seguito di un incidente stradale rimane in stato di coma per moltissimo tempo, al risveglio è affetto da una paresi che lo limita in ogni movimento, dimesso con la diagnosi di < >. Come confermato dai consulenti cui era stata affidata la consulenza, la condizione neurologica riscontrata comporta «un deficit di forza ai quattro arti, associato ad aumento del tono muscolare di tipo “piramidale”, con conseguenti retrazioni tendinee e sintomatologia dolorosa».
I genitori vengono a conoscenza che esiste un intervento che consente l’impianto della così detta pompa per l’amministrazione intratecale di Bacoflen ed alle connesse terapie riabilitative. La possibilità di immettere direttamente nel midollo spinale il farmaco consente di agire con maggiore efficacia e minori effetti collaterali. (il non nuocere a cui si riferisce il giuramento di Ippocrate).
Tale terapia è effettuata negli Stati Uniti e i genitori chiedono all’ASL competente di sostenere le spese necessarie. Il Centro di riferimento regionale presso l’Azienda Ospedaliera C.T.O di Torino esprimeva parere sfavorevole al ricovero all’estero, ed anche le richieste successive ottennero un diniego.
I genitori decisero di intervenire ugualmente. La causa nasce pertanto come richiesta di riconoscimento del rimborso per spese sanitarie effettuate all’estero ai sensi dell’art. 3 della l. 23 Ottobre 1985, n. 595che regolamenta le modalità per l’erogazione delle prestazioni sanitarie indirette, e così precisamente recita < >
I criteri per l’attuazione della norma sono stabiliti con il D.M. 3 Novembre 1989 del Ministro della Sanità che, tra l’altro stabilisce che il paziente può recarsi all’estero per effettuare la cura o l’intervento qualora < >. Detto decreto ancora precisa che non è indispensabile la preventiva autorizzazione nei casi di comprovata eccezionale gravità e urgenza.
Il giudicante, esaminate una serie di questioni pregiudiziali e preliminari favorevolmente al ricorrente, entra nel merito della controversia.
Qui interessa richiamare la questione giurisdizionale risolta a favore del giudice ordinario con richiamo espresso alla giurisprudenza della Cassazione in un caso del tutto simile.
«La devoluzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, disposta dall’art. 33 del decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 80 per le controversie “riguardanti le attività e le prestazioni di ogni genere, anche di natura patrimoniale, rese nell’espletamento di pubblici servizi, ivi comprese quelle rese nell’ambito del Servizio sanitario nazionale”, è esclusa – per espressa previsione della stessa disposizione – per le controversie relative a “rapporti individuali di utenza con i soggetti privati”, tra le quali sono da includere le controversie promosse da singoli utenti del Servizio sanitario per ottenere le prestazioni cui lo stesso è istituzionalmente preposto, relativamente alle quali l’individuazione del giudice fornito di giurisdizione deve dunque avvenire non in base al criterio della materia, ma in base a quello della consistenza della situazione giuridica di cui si domanda la tutela, vale a dire riconoscendosi la sussistenza della giurisdizione ordinaria relativamente ai diritti soggettivi ovvero quella generale di legittimità del giudice amministrativo relativamente agli interessi legittimi (nella specie, la S.C. ha dichiarato la giurisdizione del giudice ordinario in relazione alla pretesa giudiziale di rimborso di spese sostenute per prestazioni chirurgiche indifferibili, che la struttura sanitaria pubblica non era in condizioni di assicurare)». (Cass., Sez. U, 9 agosto 2000, n. 558).
Del resto il ragionamento regge a eventuali contestazioni perché il giudice decidendo il merito della controversia ritiene che nel caso di specie siano integrati i requisiti dell’eccezionale gravità ed urgenza richiesti dall’art. 7 del succitato D.M. che non rende necessaria la preventiva autorizzazione.
Se, dunque, la possibilità di recarsi all’estero per le terapie, senza iniziare alcun procedimento amministrativo, la norma tratta l’ipotesi de quo alla stregua di un diritto soggettivo (spendo e poi chiedo il rimborso), e non a mero interesse legittimo (chiedo per ottenere l’autorizzazione). Da tale argomentazione discende la competenza del giudice ordinario, giudice dei diritti.
Le argomentazioni poste a sostegno dell’opposizione al rimborso da parte dell’ASL competente sono facilmente contestabili alla luce della qualifica di diritto primario dato ormai da tempo da giurisprudenza e dottrina, al bene salute.
Le norme in materia di consenso informato hanno ulteriormente approfondito la nozione di salute. E’ oggi innegabile che la guarigione clinica non possa essere considerata coincidente con il benessere fisico e psichico che sicuramente è altra cosa, ma è lo scopo finale sia delle norme poste a tutela della salute sia dell’attività medica.
Di recente la Corte Costituzionale ha negato l’incostituzionalità della norma regionale che limitava i compensi a strutture convenzionate con la seguente motivazione <
Dovere della struttura sanitaria è intervenire al fine di lenire il dolore, migliorando le condizioni generali del paziente, anche se non è possibile <> o anche se la < > è già stata decretata, o come correttamente afferma il giudice < < la possibilità di un miglioramento delle condizioni del paziente quanto meno con riferimento ad una sintomatologia dolorosa acuta e persistente>>.