di Livia Crozzoli Aite
” se tutto questo dolore non allarga i nostri orizzonti e non ci rende più umani, liberandoci dalle piccolezze e dalle cose superflue di questa vita, tutto è stato inutile” (Etty Hillesum)
Parametri culturali e simbolici
Attualmente nella nostra società c’ è un mutismo disumano e una sordità totale di fronte alla morte e al lutto. Certamente si tratta di eventi che prospettano problematiche complesse, difficili, alcune antiche quanto l’uomo e altre del tutto nuove, ma la tendenza più diffusa è quella di emarginarle dalla dimensione sia individuale che collettiva del vivere.
Le prendiamo in considerazione soltanto quando la malattia grave, la perdita di una persona a noi cara e il cordoglio per la sua morte, ci fa toccare con mano e da vicino queste dimensioni. In quei momenti ci accorgiamo che siamo soli e del tutto impreparati ad affrontare questi travagli.
Negli ultimi decenni le mutate circostanze economiche, sociali, storiche, politiche, etiche, religiose e scientifiche hanno modificato i nostri parametri culturali e i nostri universi simbolici di riferimento, estromettendo la dimensione del morire dalle nostre coscienze, oltre che dalle nostre case.
Se pensiamo che fino alla prima metà del secolo scorso si moriva prevalentemente in casa e l’avvicinarsi della morte era vissuto come un evento dinamico, trasformativo e socialmente condiviso, possiamo cogliere la profonda trasformazione avvenuta. Le persone amiche e i parenti avevano il compito di accompagnare il morente e sostenere la famiglia, durante la malattia e anche dopo la morte, nella fase del lutto.
C’erano i messaggi da affidare al morente e l’attesa dei suoi insegnamenti, i famosi testamenti di vita; c’erano dei riti comunitari da seguire, che avevano un valore riconosciuto e alleggerivano il nucleo familiare: il viatico e l’estrema unzione, la vestizione del morto, la veglia funebre, il pianto rituale, il corteo e il banchetto dopo il funerale, il lutto e il mezzo lutto nel vestirsi, le visite al cimitero, le messe di suffragio, il tempo stabilito dell’appartarsi e del reintegrarsi nella vita sociale. In tal modo bambini e adulti familiarizzavano con questi eventi temuti e minacciosi e la famiglia e la collettività, che in questi riti comunitari si riconoscevano, condividendoli, si sentivano sostenute nel proseguire il cammino e riprendere le funzioni abituali.
Queste ritualità, sia collettive che individuali, appaiono ormai quasi ovunque impraticabili: sono sconosciute o dimenticate, talvolta perfino osteggiate e connotate negativamente, svuotate di senso e comunque impossibilitate a svolgere quella funzione di orientamento etico che avevano svolto per molti secoli.
Attualmente più del 70% delle persone muore in ospedale, dove neppure negli ultimi momenti, c’è uno spazio libero e protetto di condivisione, di vicinanza fisica ed affettiva tra il malato e i suoi cari.
Anche i riti funebri si svolgono spesso “in un clima di meccanica doverosità, di estraneità emotiva al contenuto spirituale del rito, oscillando tra vergogna e disagio.” Familiari, parenti e amici, specialmente nelle aree urbane, ritornano frettolosamente alla propria vita abituale, che impone efficienza e ritmi e tempi rapidi, a scapito della comunicazione e della condivisione dell’affettività con gli altri.
Parallelamente alla mancanza di un universo simbolico di riferimento di natura collettiva, anche il singolo individuo non sa più trovare le parole per accompagnare il morente, per sostenere e consolare i familiari, nè si dà lo spazio e il tempo per vivere il travaglio del lutto e confrontarsi con la propria morte.
Di fronte a questo panorama culturale e umano ci si domanda se la situazione attuale sia un’evoluzione positiva o un’involuzione insoddisfacente sia per il singolo che per la collettività.
Se non la si ritiene rispondente, è bene che con maggiore consapevolezza e responsabilità si cerchino nuove e personali risposte creative, che potranno diventare successivamente nel tempo nuove ritualità collettive.
In Italia le associazioni di volontariato già da alcuni decenni si stanno muovendo in tal senso e recentemente anche lo stato italiano con la legge delle cure palliative (n.39/1999) ha incominciato a promuovere nuove forme di assistenza e di cura per l’accompagnamento dei morenti e per contrastare l’isolamento e la sofferenza delle persone in lutto. Purtroppo siamo ancora agli inizi e il compito non appare facile.
Auguriamoci che le nostre componenti umane e umanitarie non siano del tutto soffocate dalle dinamiche economiche, tecnologiche e consumistiche, che sembrano ormai prevalere. Speriamo che vengano sempre di più promosse iniziative da parte della collettività, ad esempio come quella presentata in questo libro, per rompere il silenzio e la solitudine con cui gli esseri umani vivono questi travagli dell’esistenza.
Cordoglio e lutto
Nel linguaggio corrente questi due termini sono equivalenti e quindi usati senza alcuna distinzione, ma per gli “addetti ai lavori” cordoglio ha una particolare sfumatura di significato. Con questa parola si intende infatti il ” dolore del cuore”(dal latino cor-cordis, cuore, e dolere sentire dolore). Questo termine, che appare come una metafora, indica bene sia la sofferenza sul piano fisico, lo spasmo del cuore, che quella psicologica, lo spasimo, il desiderio affettivo della persona deceduta.
Il dolore della perdita, il cordoglio, lo si prova non solo per la morte di una persona cara, ma ogni volta che perdiamo o dobbiamo lasciare andare oggetti significativi sia esterni (come una relazione affettiva, un progetto, un ruolo sociale, un luogo), che interni (una parte di sé, un’immagine dell’altro interiorizzata, un’immagine idealizzata di sé e dell’altro). Sicuramente il cordoglio del lutto si distingue per la definitività e irrecuperabilità della perdita.
Nel linguaggio comune con la parola lutto ( dal latino luctus, pianto, verbo lugere piangere ed essere in lutto), si intendono sia i rituali collettivi e le pratiche sociali e pubbliche, che vengono svolte nelle diverse culture, sia l’insieme delle reazioni psicologiche e dei comportamenti individuali che si sperimentano a causa della morte di una persona.
Il lutto è un’esperienza psichica universale, che tutti incontrano nel corso dell’esistenza e sempre più frequentemente con l’aumentare dell’età, ma che viene vissuta in tempi e modi molto personali e differenti. Alcuni si comportano in maniera distaccata e controllata , altri piangono e si disperano rumorosamente; alcuni vogliono stare da soli, altri preferiscono una compagnia costante; alcuni eliminano subito dopo la morte le cose che appartenevano al defunto, altri le conservano immutate per anni; alcuni vanno ogni giorno al cimitero, mentre altri lo rifuggono totalmente.
In qualsiasi modo il lutto sia espresso, sicuramente la morte di una persona significativa genera delle difficoltà che scuotono profondamente. Come ha detto un familiare in lutto: ” è un terremoto, a cui seguono le scosse d’assestamento”.
Questa metafora descrive bene la profondità della perdita e il peso dell’angoscia che fa vacillare ogni equilibrio all’esterno, dove le macerie sono più visibili, e all’interno, dove le spaccature e le scosse si originano e sono ancora più violente.
Questa immagine sottolinea inoltre con chiarezza la presenza di un processo: dall’acme dei sentimenti dolorosi dei primi tempi, alle successive “scosse d’assestamento” fino al ritorno a uno stato di quiete.
Le persone variano enormemente nella loro risposta al lutto. Alcune soffrono di un danno duraturo per il loro stato mentale, sociale e spirituale; altre portano il lutto nel loro cammino a ogni passo e altre diventano più mature, più valide di quanto lo fossero prima dell’esperienza del lutto.
Il decorso psicologico del lutto dipende infatti da molti fattori, alcuni legati alle circostanze della malattia ( di lunga o breve durata, presenza o meno di sintomi dolorosi, stato di coscienza,…), alle modalità del decesso (morte improvvisa o attesa, luogo, stato della salma,…), altri a elementi eminentemente personali e relazionali, indipendenti dalla malattia e legati alla vita trascorsa insieme. I più significativi sono:
– l’età (bambino, giovane, adulto, vecchio)
– il ruolo ricoperto in famiglia (grado di parentela)
– la qualità della relazione (dipendenza fisica, psichica, economica, sociale, vicinanza e coinvolgimento prima della malattia…)
– le risorse e le caratteristiche personali (stato di salute fisica e psicologica, tratti della personalità: sensibilità, consapevolezza, equilibrio, responsabilità, capacità d’adattamento…)
– le risorse del contesto familiare (dinamiche familiari, conflittualità o coesione, apertura o isolamento relazionale, livello socioculturale, fede religiosa ….)
– le risorse del contesto ambientale (rete relazionale di supporto formale e informale…)
– i lutti precedentemente vissuti e loro modalità di risoluzione.
E’ importante sottolineare che l’elaborazione del lutto sarà influenzata anche dalle esperienze relazionali che si svolgono nel corso della malattia, prevalentemente legate al tipo di assistenza, di comunicazione e di scambio emozionale che si riesce a creare. A molti è capitato di essere testimoni o di venire a sapere di momenti di condivisione profonda, colmi di tenerezza e comprensione tra familiari, che recuperavano anni di distanziamento affettivo e di lontananza.