un grazie alla dott.Mariani Martina ed al Prof. Roberto Medeghini:uno studio…

Ringrazio innanzi tutto la Dott. Martina Mariani  per aver utilizzato il mio libro per la realizzazione della sua tesi e il suo Relatore il Prof Roberto Medeghini.

Questo lavoro è stato impostato sullo studio della disabilità/fisicità. Il corpo che in automatico essendo “diverso” crea  il  “target -handicap”  che fino agli anni scorsi ha sempre portato ad una sorta di “ghettizzazione”.

E’ uno studio approfondito sulle tematiche socio-medico-culturali della disabilità e il confronto sul “ieri” ed “oggi”. Complimenti alla Autrice.

“Il corpo nella disabilità”
tesi di laurea di

Martina Mariani
Relatore: Roberto Medeghini
A. A. 2009-10

“Negli anni passati, la disabilità venne erroneamente considerata come conseguenza di un deficit mentale o esclusivamente fisico.
L’apparire con deficit sia fisici che mentali, era “visto” come elemento disturbatore dell’ordine pubblico, potevano questi individui essere causa di confusione in un ambiente che doveva per forza apparire razionale e chiaro.

Come conseguenza, “questi elementi diversi” erano considerati improduttivi socialmente non inseribili nel contesto di una civile convivenza.

Così come verso la fine degli anni ’60, lentamente si inizia a coniderarlo l’handicap come  un frutto di esclusione sociale. A livello medico, l’autrice ha svolto uno studio molto serio di come questa patologia del diverso, fosse non un problema esclusivamente medico, ma un problema che potesse sconvolgere lo stato sociale. Il “difetto” personale non era preso in considerazione. Era un problema esclusivo del “io”.

Era un “fenomeno” sociale, e si effettuarono parecchi studi legati ad una nuova “branca” la sociologia del corpo. Infatti come riporta l’autrice in alcune sue pagine, e con stralci di alcuni sociologi si è preso in esame il rapporto di corpo e apparire nella società odierna.

Con estrema delicatezza, Martina è riuscita utilizzando tre testimonianze di donna con disabilità a mettere in risalto il retaggio atavico del diverso.

L’essere inadeguati o inopportuni, e nello stesso tempo la grande voglia di soverchiare lo schema del diverso, mettendo in luce che alla fine non si è quello che la “vista” vuole vedere, ma quello che la “vista” deve conoscere, condividere e sapere.

L’individualità del proprio “se”, essere “io” e non malattia.

Con maestria si districa nello studio della diversità nel suo contesto sociale, dove prima la scienza medica tendeva ad essere contenitore di disgrazie senza risoluzioni, e in seguito cambiò totalmente integrazione riabilitando il diverso alla più possibile vita normale.”

Martina Mariani, ha 23 anni, sta continuando il suo percorso formativo frequentando  un Corso Universitario  in Padova.

Il Professore Medeghini, pedagogista  insegna presso la  Facoltà Universitaria  di Bergamo. Autore di numerosi  testi legati alla integrazione socio-culturale delle diversità relative soprattutto allo stato di handicap. Studi sull’apprendimento e sul come insegnare a integrare coloro che che pur nella loro “apparente” diversità possono essere e devono essere considerati normali nella era attuale.

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I thank first of all, Dr. Martina Mariani for using my book for the realization of its argument and its Rapporteur Prof. Roberto Medeghini

This work was set in the study of disability / physical. The body automatically being “different” create “target-handicap” that until the past few years has always led to a kind of “ghettoization”.

It ‘a detailed study of the socio-medical and cultural issues of disability and the comparison on “yesterday” and “today”. Congratulations to the author.

“The body in disability”
thesis of

Martina Mariani
Rapporteur: Roberto Medeghini
A. A. 2009-10

“In years past, disability was mistakenly considered as a result of a purely physical or mental impairment.
Appearing with both physical and mental deficits, was “seen” as a disturber of public order, these individuals could cause confusion in an environment that was bound to seem rational and clear.

As a result, “these different elements” were considered socially unproductive not in the context of a civil society.

Just as in the late ’60s, he slowly begins to coniderarlo disability as a result of social exclusion. At the medical level, the author has done a serious study of how this pathology of the different was not only a medical problem but a problem that could upset the welfare state. The “defect” staff was not taken into account. It was a problem unique to the “I”.

It was a “phenomenon” social and carried out several studies related to a new “branch” sociology of the body. In fact, as reported by the author in some of its pages, and excerpts of some social scientists has examined the relationship of body and appear in today’s society.

With great delicacy, Martina has succeeded by using three examples of women with disabilities to highlight the ancestral heritage of the different.

Being inadequate or inappropriate, and at the same time the great desire to overwhelm the pattern of diversity, highlighting that the end was not what the “view” wants to see, but what the “view” needs to know, share and knowledge.

The individuality of their own “if”, being “I” and not the disease.

With skill you untangle the study of diversity in its social context, where the first medical science tended to be container misfortunes without resolution, and further rehabilitating the integration changed completely different to normal life as possible. “

Martina Mariani has 23 years, is continuing his studies by attending a university in Padua.

Professor Medeghini, educator teaches at the Faculty University of Bergamo. Author of several books related to the socio-cultural diversity of the state especially for the disabled. Studies on learning and teaching on how to integrate those that despite their “apparent” differences can be and should be considered normal in the present era.

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Je remercie tout d’abord, le Dr Martina Mariani pour l’utilisation de mon livre pour la réalisation de sa thèse et son rapporteur M. Roberto Medeghini.

Ce travail a été mis à l’étude de la déficience ou physique. Le corps automatiquement être “différent” de créer une «cible handicap» que, jusqu’à ces dernières années a toujours conduit à une sorte de «ghettoïsation».

C’est une étude détaillée des questions socio-médical et culturel de l’incapacité et la comparaison sur «hier» et «aujourd’hui». Félicitations à l’auteur.

“Le corps de l’invalidité”
thèse de

Martina Mariani
Rapporteur: Roberto Medeghini
A. A. 2009-10

“Ces dernières années, le handicap a été considéré à tort comme une suite d’un handicap purement physique ou mentale.
Apparaissant à la fois avec des déficits physiques et mentales, a été «vu» comme un perturbateur de l’ordre public, ces personnes pourraient causer de la confusion dans un environnement qui était tenu de comparaître rationnelle et claire.

En conséquence, «ces différents éléments” ont été considérés comme socialement improductifs pas dans le contexte d’une société civile.

Tout comme dans le fin des années 60, il commence lentement à coniderarlo invalidité à la suite de l’exclusion sociale. Au niveau médical, l’auteur a fait une étude sérieuse de la manière dont cette pathologie des différents n’était pas seulement un problème médical, mais un problème qui pourrait bouleverser l’État-providence. Le «défaut» du personnel n’a pas été pris en compte. Il a été un problème unique au «je».

Il a été un «phénomène» sociaux et réalisé plusieurs études relatives à une nouvelle “branche” sociologie du corps. En fait, tel que rapporté par l’auteur dans certaines de ses pages, et des extraits de certains chercheurs en sciences sociales a examiné la relation entre corps et apparaissent dans la société d’aujourd’hui.

Avec une grande délicatesse, Martina a réussi à l’aide de trois exemples de femmes handicapées pour mettre en évidence l’héritage ancestral de l’autre.

Être insuffisants ou inadaptés, et en même temps le grand désir d’accabler le modèle de la diversité, en soulignant que la fin n’était pas ce que la “vue” veut voir, mais ce que la “vue” a besoin de connaître, de partager et des connaissances.

L’individualité de leurs propres «si», étant «je» et non la maladie.

Avec une habileté vous démêler l’étude de la diversité dans son contexte social, où la première science médicale tend à être malheurs conteneur sans résolution, et en outre la réhabilitation de l’intégration a changé complètement différent à la vie normale que possible. “

Martina Mariani a 23 ans, poursuit ses études en fréquentant une université de Padoue.

Professeur Medeghini, éducateur enseigne à l’Université Faculté de Bergame. Auteur de plusieurs ouvrages relatifs à la diversité socio-culturelle de l’Etat en particulier pour les personnes handicapées. Les études sur l’apprentissage et l’enseignement sur la façon d’intégrer ceux qui, malgré leur «apparent» des différences peut être et doit être considéré comme normal à l’époque actuelle.

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CCSVI e Sclerosi Multipla….

Una teoria portata avanti dal professor Zamboni dell’Università di Ferrara

CCSVI e sclerosi multipla: legami, dubbi e speranze

© Matteo Clerici/NEWSFOOD.com – 14/02/2010

Con il termine CCSVI o Insufficienza Venosa Cerebro-Spinale Cronica è descritta una situazione ipotetica in cui il sistema venoso non è in grado di rimuovere efficacemente il sangue dal sistema nervoso centrale.
Questa condizione sarebbe dovuta al restringimento di piccole vene del collo, del torace e della colonna vertebrale. Tale situazione avrebbe come conseguenza un aumento della pressione delle vene del cervello e del midollo spinale, portatrice di danni in tali regioni.

La CCSVI è balzata al centro delle attenzioni del pubblico e dei media quando alcuni studiosi hanno ipotizzato un collegamento tra tale situazione e la sclerosi multipla (SM).

In particolare, tale ipotesi è al centro della ricerca del professor Paolo Zamboni, dell’Università di Ferrara (Dipartimento di Scienze chirurgiche anestesiologiche e radiologiche), pubblicata sul “Journal of Neurology, Neurosurgery, & Psychiatry”.

In tale ricerca, Zamboni e colleghi hanno lavorato con 300 volontari: 65 affetti da varie forme di SM e 235 sani o con altri disturbi neurologici. Le analisi compiuti su tali soggetti hanno evidenziato una forte correlazione tra il manifestarsi della SM e l’insufficienza venosa che (ad oggi) si crede possa essere causa o “partner” della malattia.

Secondo la teoria di Zamboni, occlusioni o restringimenti delle principali vene che portano via il sangue da cervello e midollo spinale (giugulari interne e vena azygos) rallenterebbero il flusso del sangue cerebrale. Ciò renderebbe più probabile l’accumulo di ferro attorno attorno ai vasi sanguigni che darebbe il via alla la risposta autoimmune tipica della sclerosi multipla.

il professore commenta i risultati ottenuti: “Non mi azzardo a dire di aver trovato una terapia risolutiva per la sclerosi multipla: i dati sono pochi, devono essere confermati e riprodotti da altri. Si è sempre detto che questa malattia è multifattoriale: quello che ho individuato può essere uno dei vari meccanismi alla base del problema”.

Va notato come, a differenza di quanto avviene nella maggior parte degli studi, il professore Zamboni sia passato presto ad un trattamento applicato.

Così lo studioso spiega la tecnica usata: “Con il consenso dei pazienti, se durante l’ angiografia trovavo un’ occlusione potevo trattarla: ho così eseguito angioplastiche per ripristinare un flusso sanguigno normale. I risultati sembrano buoni soprattutto nella sclerosi multipla recidivante-remittente: a 18 mesi di distanza la qualità della vita dei pazienti è migliorata, il tasso di ricadute è diminuito, si sono ridotte le lesioni visibili alla risonanza. Sulla fatica cronica gli effetti paiono evidenti. L’ insufficienza venosa associata alla sclerosi multipla potrebbe perciò essere alla base di questo aspetto della malattia”.

Oltre ad una comprensibile cauteal, gli studi di Zamboni hanno generato interesse e desiderio di approfondimento.

A Stanford il chirurgo vascolare Michael Dake sta lavorando con volontari affetti da CCSVI. Il suo approccioconsiste nell’usare dei “palloncini” per aprire le vene ristrette o hanno inserito degli stent (tubicini) nelle vene per mantenerle pervie.

Inoltre, l’Università di Buffalo ha avviato una sperimentazione proprio per replicare i dati italiani; l’ intenzione è coinvolgere, entro due anni, 1100 malati, 300 sani e 300 persone con altre malattie neurologiche o autoimmuni.

Infine, la Fondazione italiana sclerosi multipla ha istituito un comitato tecnico-scientifico di esperti italiani e stranieri che giudicherà i dati disponibili. Nel frattempo gli esperti ricordano come al momento non esistano trattamenti approvati e disponibili per la SM. Gli interessati per ora possono rivolgersi al proprio medico di fiducia.

NOTE FINALI, per approfondire:

http://www.aism.it/ Sito dell’Associazione Italiana Sclerosi Multipla

http://www.fondazionehilarescere.org

P. Zamboni, R Galeotti, E. Menegatti, A. M. Malagoni, G Tacconi, S. Dall’Ara, I. Bartolomei, F. Salvi, “Chronic cerebrospinal venous insufficiency in patients with multiple sclerosis”. J. Neurol. Neurosurg Psychiatry 2009, doi:10.1136/jnnp.2008.157164

Sclerosi multipla: primi risultati dei test CCSVI

Matteo Clerici

Tutto su: CCSVI, Sclerosi multipla, Matteo Clerici, Insufficienza Venosa Cerebro-Spinale Cronica, Insufficienza venosa, Paolo Zamboni, SM, Malattie autoimmuni, Ricerca, Ricerca medica



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due pareri meglio di uno? ebbene si… questo è emerso da…

http://www.corriere.it/salute/11_gennaio_23/secondo-parere-medico_2d241f1c-2620-11e0-8bad-00144f02aabc.shtml

Può aiutare a decidere e a evitare errori e sprechi

Una pratica diffusa all’estero. Da noi ancora una scelta «nascosta»

Il secondo parere serve al malato
Ma anche al medico

Può aiutare a decidere e a evitare errori e sprechi

MILANO – Racconta un medico ospedaliero, sul sito inglese di un associazione di malati di cancro. «Io come medico sopportavo con fastidio il fatto che i miei pazienti chiedessero un secondo parere sulla mia diagnosi. Mi sembrava che non si fidassero di me. «Poi mi è stato diagnosticato un piccolo tumore del colon. Altro che secondo parere: di pareri ne ho chiesti sei o sette prima di decidermi a intervenire». Il medico che deve curare se stesso dà sempre grandi lezioni. E scopre quello che appare evidente alla maggior parte dei pazienti. Che di fronte alla diagnosi di una malattia grave nasce il bisogno di una conferma, di un confronto che sia anche conforto. «Il momento della comunicazione della diagnosi di una malattia severa è molto delicato — dice un medico di grande esperienza, Pasquale Spinelli, una carriera come gastroenterologo all’Istituto dei tumori di Milano —. È importante che in quel momento il professionista sappia dare consigli sul da farsi, sulle diverse opzioni, sulle possibilità. Ed è giusto non solo accettare ma anche consigliare un secondo parere, guidare il paziente anche in questo». Troppo spesso invece la realtà mostra un altro quadro. Quello del neomalato in ansia, con la cartella clinica sotto il braccio, ottenuta spesso a fatica, che inizia il giro delle sette chiese e delle altrettante speranze. Lo guida, nella maggior parte dei casi, il passaparola, l’amico dell’amico, il sentito dire. Oppure, oggi sempre più frequentemente, procede lungo le strade insidiose di Internet. In ogni caso al caro prezzo degli onorari che si moltiplicano.

LUSSO O DIRITTO ? – Ci si chiede: il secondo parere è un lusso o è un diritto del malato? Secondo molti è uno spreco di risorse, che crea confusione e rischia di screditare il valore del “primo parere”. Secondo altri, oltre che una comprensibile necessità psicologica, è un diritto che il medico ha il dovere di rispettare almeno per le patologie importanti. La medicina più avanzata, a livello internazionale, propende decisamente per questa seconda tesi. Nei Paesi anglosassoni, in Francia e nella maggior parte dei Paesi europei la “second opinion” è una pratica comune, naturale, che non scandalizza nessuno. Nel sistema sanitario americano, basato sulle assicurazioni private, in molti casi è addirittura obbligatoria, tutti i principali centri di eccellenza forniscono questo servizio in varie specialità e le linee guida delle associazioni mediche lo raccomandano. Anche perché le ricerche condotte in questo campo hanno dimostrato l’efficacia dei consulti, che permettono di “correggere” un numero significativo di diagnosi, evitando anche molti interventi inutili. E quindi risparmiando anche denaro. Per esempio la British medical association impone di rispettare la richiesta del paziente di un altro parere e raccomanda di fornire le indicazioni utili e tutti i dati clinici in possesso. I medici si adeguano volentieri, anche perché sono più protetti da eventuali rivalse legali.

IN ITALIA – Ma in Italia il Servizio sanitario ignora il “secondo parere”: le strutture pubbliche non forniscono questo servizio e la maggior parte dei medici si dimostra comunque poco disponibile ad aiutare il paziente. E non è previsto alcun rimborso. Il diritto alla “second opinion” compare solo nella carta dei diritti del malato, proposta da Umberto Veronesi. «La situazione italiana è molto arretrata in questo campo. Chi non ha la capacità o la possibilità di gestirsi in proprio il “secondo parere” non è protetto dal sistema», afferma deciso Sandro Mattioli, specialista di chirurgia generale all’università di Bologna. Con Luigi Bolondi, ordinario di clinica medica, sta organizzando per il prossimo 11 febbraio un convegno dal titolo “Mobilità sanitaria e second opinion”, per conto della Società medico chirurgica della città. «Direi anzi che la situazione va peggiorando — prosegue Mattioli — . Una volta c’era l’illustre clinico, il “barone”, che non aveva difficoltà a spedire i pazienti per un consulto, con il viatico di un “Dì che ti mando io”. Questo sistema paternalistico è giustamente finito, ma non è stato sostituito da qualcos’altro. Nella sanità italiana c’è anzi una sorta di sindrome del “maso chiuso”: ciascuno cerca di tenersi stretti i propri pazienti, anche per motivi economici». Ma i pazienti “viaggiano” lo stesso, anche non invitati. «Lo stato dice: devi andare nella tua Asl di competenza, altrimenti sono fatti tuoi. E così il paziente si arrangia. Mentre dovrebbe favorire un sistema di consulti tra gli specialisti, per quel che riguarda la clinica medica. E fornire una “second opinion” concreta per quel che riguarda la chirurgia, basata su una rete di centri specialistici e di riferimento per le varie patologie, distribuiti sul territorio. Anche perché in chirurgia non conta soltanto la competenza del singolo medico, ma quella dell’intera squadra». «Il servizio sanitario deve farsi carico del secondo parere — ribadisce Spinelli — perché fa parte integrante dell’assistenza al malato. Per evitare dispersioni di energie e denaro. E prevenire anche che il paziente, nella sua ricerca a volte disperata, finisca per affidarsi a “guaritori” di vario tipo, che promettono soluzioni miracolistiche».

Riccardo Renzi

MILAN – Tell a hospital physician, the English website of a group of cancer patients. “I hated as a physician discomfort with the fact that my patients seek a second opinion on my diagnosis. It seemed that no fidassero me. “Then I was diagnosed with a small colon cancer. Other than second opinion: the opinions I have asked six or seven before deciding to intervene. ” The physician must heal himself always gives great lessons. And find out what is obvious to most patients. That before the diagnosis of a serious illness arises the need to confirm this, a comparison that is also comforting. “The moment in which diagnosis of a severe illness is very delicate – says a doctor with considerable experience, Pasquale Spinelli, a career as a gastroenterologist Cancer Institute of Milan -. It is important that at that time able to give professional advice on what to do, on the various options, the possibilities. And it is right not only accept but also suggest a second opinion, to guide the patient in this. ” Too often, instead of the reality shows another picture. What’s neomalato anxious, with the medical record under his arm, often obtained with difficulty, which begins around the seven churches and so many hopes. The guide, in most cases, word of mouth, the friend of a friend, the hearsay. Or, today more and more frequently, proceed along the treacherous roads of the Internet. In any case, the high price of fees to multiply.

LUXURY OR RIGHT? – The question is: The second opinion is a luxury or a patient’s right? According to many is a waste of resources, which creates confusion and threatens to discredit the value of the “first opinion”. According to others, as well as an understandable psychological need, is a right that the doctor has the duty to respect at least for major diseases. The most advanced medicine at the international level, leans decidedly to the latter thesis. In Anglo-Saxon countries, France and most European countries the “second opinion” is a common practice, of course, does not offend anyone. In the U.S. healthcare system based on private insurance, in many cases, even mandatory, all major centers of excellence in providing this service in various specialties and the guidelines of medical associations recommend it. Also because the research in this field have demonstrated the effectiveness of consultations, which allow you to “fix” a significant number of diagnosis, thus avoiding many unnecessary interventions. And then also save money. For example, the British Medical Association calls for respecting the patient’s request for another opinion and recommended to provide useful information and all clinical data in its possession. The doctors are happy to adapt, because they are more protected from possible legal retaliation.

IN ITALY – Italy in the health service but ignores the “second opinion”: the public do not provide this service and most medical shows, however, little is available to help the patient. And there is no refund. The right to “second opinion” appears only in the patient’s bill of rights proposed by Umberto Veronesi. “The Italian situation is far behind in this field. Who does not have the capacity or the ability to manage their own “second opinion” is not protected by the system, “says Sandro Mattioli agreed, a specialist in general surgery at the University of Bologna. With Luigi Bolondi, professor of clinical medicine, is organizing a conference on February 11 entitled “Medical furniture and second opinion” on behalf of the Medical Society of Surgical city. “I would say that the situation is getting worse – says Mattioli -. Once there was the famous clinician, the “Baron”, who had no difficulty in sending patients for a consultation with the food for the journey of a “Say I sent you.” This paternalistic system is rightly done, but has not been replaced by something else. The Italian health is indeed a kind of syndrome of the farmstead “everyone tries to hold onto their patients, even for economic reasons.” But patients ‘travel’ the same, even uninvited. “The state says you must go to your local health jurisdiction, your facts are otherwise. And so the patient gets by. While it should promote a system of consultations between specialists, with regard to the medical clinic. And provide a “second opinion” with regard to the actual surgery, based on a network of specialized centers and reference for the various diseases, for geographically distributed. Even surgery does not count because only the competence of individual doctors, but the whole team. ” “The health service must pay all the second opinions – reiterated Spinelli – it is an integral part of care for the sick. To avoid waste of energy and money. It also prevent the patient in his quest to desperate times, end up relying on “healers” of various kinds, which promise miraculous solutions. ”

Riccardo Renzi

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INPS e procedure più rapide per le invalidità civili?

INPS semplifica le procedure?

INPS: DELIBERA CIV SU SEMPLIFICAZIONE PROCEDURE INVALIDITA’ CIVILE

(ASCA) – Roma, 28 gen – Il Consiglio di indirizzo e vigilanza dell’Inps ha approvato una delibera per la semplificazione delle procedure per la concessione dell’invalidita’ civile. ”Al di la’ dei freddi numeri – ha dichiarato il presidente del Civ dell’Inps Guido Abbadessa -, c’e’ la precisa consapevolezza da parte di tutte le componenti dell’Istituto che dietro ogni domanda esiste una persona, oltretutto una persona che si trova in un momento di particolare fragilita’ e le cui problematiche il piu’ delle volte vanno oltre, perche’ in qualche modo si estendono anche ai familiari”. ”Inoltre – continua il Presidente del Civ – ad una prima rilevazione, appare che i tempi di conclusione dei procedimenti siano superiori ai 120 giorni previsti dalla legge e comunque diversificati a seconda delle diverse realta’ territoriali. Occorre evidenziare peraltro che, negli ultimi mesi, le problematiche e le criticita’ collegate alla tematica dell’invalidita’ civile risultano sempre piu’ presenti sugli organi di informazione e che, nel contempo, si sono moltiplicate puntuali prese di posizione da parte dei Comitati territoriali dell’Istituto”. ”E’ di tutta evidenza – ha aggiunto Abbadessa – che si debba pervenire ad una riduzione dei tempi complessivi di conclusione dei procedimenti, con l’obiettivo di rispettare e ridurre i termini fissati dalla legge, vale a dire 120 giorni per la definizione della totalita’ delle pratiche e la definizione immediata per i malati oncologici, premesso che per questi ultimi e’ prevista la chiamata a visita entro i 15 giorni dalla domanda. Cosi’ come e’ di tutta evidenza l’importanza della costante partecipazione dei medici dell’Istituto a tutte le Commissioni mediche ASL in qualita’ di membri effettivi”.

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Sclerosi Multipla e nervo vago

Ho trovato questo articolo seguendo la :

Cardiovascular dysfunction in MS-Practice

3.1 Incidence and impact
Cardiovascular dysfunction will affect 10–50% of
people with MS. The pattern of pathological findings
is highly heterogeneous, suggesting a predominantly
sympathetic involvement in some patients, and a
predominantly parasympathetic pathology in others.5
These impairments may be related to the number of
lesions within the mid-brain.10 The overall impact of
cardiovascular dysfunction in MS is unknown; it may
affect the safety of exercise participation.

3.2 Clinical characteristics
Cardiovascular dysfunction in people with MS may
involve reduced heart rate response11,12 and blood
pressure response to stimuli such as exercise and
stress.13 Self-reported symptoms may include postural
hypotension, dizziness, and light headedness which
can impact on the person’s ability to maintain balance,
or move around their environment.

3.3 Assessment and management
People with MS should be assessed for their response
to exercise prior to prescribing cardiovascular exercise.
This involves taking regular heart rate and blood
pressure measurements. If these measures show a
blunted response to exercise, alternative measures
such as Borg Rate of Perceived Exertion scale should
be used to monitor training exercise intensity. People
with a history of falling should also be screened for
orthostatic intolerance.5 People with MS who have any
cardiovascular risk factors should undertake formal
cardiovascular fitness testing prior to engaging in
stressful cardiovascular physical activities. For further
information refer to the Strength and cardiovascular
exercise for people with multiple sclerosis handout.

————————————- Continua a leggere

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"il muro trasparente"

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Beautiful Day

from MSIF on Vimeo.

continuando a vivere e viversi: si può vincere!

Beautiful Day U2

The heart is a bloom
Shoots up through the stony ground
There’s no room
No space to rent in this town

You’re out of luck
And the reason that you had to care
The traffic is stuck
And you’re not moving anywhere

You thought you’d found a friend
To take you out of this place
Someone you could lend a hand
In return for grace

It’s a beautiful day
Sky falls, you feel like
It’s a beautiful day
Don’t let it get away

You’re on the road
But you’ve got no destination
You’re in the mud
In the maze of her imagination

You love this town
Even if that doesn’t ring true
You’ve been all over
And it’s been all over you

It’s a beautiful day
Don’t let it get away
It’s a beautiful day

Touch me
Take me to that other place
Teach me
I know I’m not a hopeless case

See the world in green and blue
See China right in front of you
See the canyons broken by cloud
See the tuna fleets clearing the sea out
See the Bedouin fires at night
See the oil fields at first light
And see the bird with a leaf in her mouth
After the flood all the colors came out

It was a beautiful day
Don’t let it get away
Beautiful day

Touch me
Take me to that other place
Reach me
I know I’m not a hopeless case

What you don’t have you don’t need it now
What you don’t know you can feel it somehow
What you don’t have you don’t need it now
Don’t need it now
Was a beautiful day

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tutela sulla discriminazione delle persone con handicap

dal sito :

http://www.parlamento.it/parlam/leggi/06067l.htm

Legge 1° marzo 2006, n. 67

“Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni”

pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 54 del 6 marzo 2006


Art. 1.

(Finalità e ambito di applicazione)

1. La presente legge, ai sensi dell’articolo 3 della Costituzione, promuove la piena attuazione del principio di parità di trattamento e delle pari opportunità nei confronti delle persone con disabilità di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, al fine di garantire alle stesse il pieno godimento dei loro diritti civili, politici, economici e sociali.

2. Restano salve, nei casi di discriminazioni in pregiudizio delle persone con disabilità relative all’accesso al lavoro e sul lavoro, le disposizioni del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, recante attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro.

Art. 2.

(Nozione di discriminazione)

1. Il principio di parità di trattamento comporta che non può essere praticata alcuna discriminazione in pregiudizio delle persone con disabilità.

2. Si ha discriminazione diretta quando, per motivi connessi alla disabilità, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata una persona non disabile in situazione analoga.
3. Si ha discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono una persona con disabilità in una posizione di svantaggio rispetto ad altre persone.
4. Sono, altresì, considerati come discriminazioni le molestie ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per motivi connessi alla disabilità, che violano la dignità e la libertà di una persona con disabilità, ovvero creano un clima di intimidazione, di umiliazione e di ostilità nei suoi confronti.

Art. 3.

(Tutela giurisdizionale)

1. La tutela giurisdizionale avverso gli atti ed i comportamenti di cui all’articolo 2 della presente legge è attuata nelle forme previste dall’articolo 44, commi da 1 a 6 e 8, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286.

2. Il ricorrente, al fine di dimostrare la sussistenza di un comportamento discriminatorio a proprio danno, può dedurre in giudizio elementi di fatto, in termini gravi, precisi e concordanti, che il giudice valuta nei limiti di cui all’articolo 2729, primo comma, del codice civile.
3. Con il provvedimento che accoglie il ricorso il giudice, oltre a provvedere, se richiesto, al risarcimento del danno, anche non patrimoniale, ordina la cessazione del comportamento, della condotta o dell’atto discriminatorio, ove ancora sussistente, e adotta ogni altro provvedimento idoneo, secondo le circostanze, a rimuovere gli effetti della discriminazione, compresa l’adozione, entro il termine fissato nel provvedimento stesso, di un piano di rimozione delle discriminazioni accertate.
4. Il giudice può ordinare la pubblicazione del provvedimento di cui al comma 3, a spese del convenuto, per una sola volta, su un quotidiano a tiratura nazionale, ovvero su uno dei quotidiani a maggiore diffusione nel territorio interessato.

Art. 4.

(Legittimazione ad agire)

1. Sono altresì legittimati ad agire ai sensi dell’articolo 3 in forza di delega rilasciata per atto pubblico o per scrittura privata autenticata a pena di nullità, in nome e per conto del soggetto passivo della discriminazione, le associazioni e gli enti individuati con decreto del Ministro per le pari opportunità, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sulla base della finalità statutaria e della stabilità dell’organizzazione.

2. Le associazioni e gli enti di cui al comma 1 possono intervenire nei giudizi per danno subìto dalle persone con disabilità e ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa per l’annullamento di atti lesivi degli interessi delle persone stesse.
3. Le associazioni e gli enti di cui al comma 1 sono altresì legittimati ad agire, in relazione ai comportamenti discriminatori di cui ai commi 2 e 3 dell’articolo 2, quando questi assumano carattere collettivo.

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Il Lutto e il suo travaglio…

il travaglio del lutto

di Livia Crozzoli Aite

” se tutto questo dolore non allarga i nostri orizzonti e non ci rende più umani, liberandoci dalle piccolezze e dalle cose superflue di questa vita, tutto è stato inutile” (Etty Hillesum)

Parametri culturali e simbolici

Attualmente nella nostra società c’ è un mutismo disumano e una sordità totale di fronte alla morte e al lutto. Certamente si tratta di eventi che prospettano problematiche complesse, difficili, alcune antiche quanto l’uomo e altre del tutto nuove, ma la tendenza più diffusa è quella di emarginarle dalla dimensione sia individuale che collettiva del vivere.
Le prendiamo in considerazione soltanto quando la malattia grave, la perdita di una persona a noi cara e il cordoglio per la sua morte, ci fa toccare con mano e da vicino queste dimensioni. In quei momenti ci accorgiamo che siamo soli e del tutto impreparati ad affrontare questi travagli.
Negli ultimi decenni le mutate circostanze economiche, sociali, storiche, politiche, etiche, religiose e scientifiche hanno modificato i nostri parametri culturali e i nostri universi simbolici di riferimento, estromettendo la dimensione del morire dalle nostre coscienze, oltre che dalle nostre case.
Se pensiamo che fino alla prima metà del secolo scorso si moriva prevalentemente in casa e l’avvicinarsi della morte era vissuto come un evento dinamico, trasformativo e socialmente condiviso, possiamo cogliere la profonda trasformazione avvenuta. Le persone amiche e i parenti avevano il compito di accompagnare il morente e sostenere la famiglia, durante la malattia e anche dopo la morte, nella fase del lutto.
C’erano i messaggi da affidare al morente e l’attesa dei suoi insegnamenti, i famosi testamenti di vita; c’erano dei riti comunitari da seguire, che avevano un valore riconosciuto e alleggerivano il nucleo familiare: il viatico e l’estrema unzione, la vestizione del morto, la veglia funebre, il pianto rituale, il corteo e il banchetto dopo il funerale, il lutto e il mezzo lutto nel vestirsi, le visite al cimitero, le messe di suffragio, il tempo stabilito dell’appartarsi e del reintegrarsi nella vita sociale. In tal modo bambini e adulti familiarizzavano con questi eventi temuti e minacciosi e la famiglia e la collettività, che in questi riti comunitari si riconoscevano, condividendoli, si sentivano sostenute nel proseguire il cammino e riprendere le funzioni abituali.
Queste ritualità, sia collettive che individuali, appaiono ormai quasi ovunque impraticabili: sono sconosciute o dimenticate, talvolta perfino osteggiate e connotate negativamente, svuotate di senso e comunque impossibilitate a svolgere quella funzione di orientamento etico che avevano svolto per molti secoli.
Attualmente più del 70% delle persone muore in ospedale, dove neppure negli ultimi momenti, c’è uno spazio libero e protetto di condivisione, di vicinanza fisica ed affettiva tra il malato e i suoi cari.
Anche i riti funebri si svolgono spesso “in un clima di meccanica doverosità, di estraneità emotiva al contenuto spirituale del rito, oscillando tra vergogna e disagio.” Familiari, parenti e amici, specialmente nelle aree urbane, ritornano frettolosamente alla propria vita abituale, che impone efficienza e ritmi e tempi rapidi, a scapito della comunicazione e della condivisione dell’affettività con gli altri.
Parallelamente alla mancanza di un universo simbolico di riferimento di natura collettiva, anche il singolo individuo non sa più trovare le parole per accompagnare il morente, per sostenere e consolare i familiari, nè si dà lo spazio e il tempo per vivere il travaglio del lutto e confrontarsi con la propria morte.
Di fronte a questo panorama culturale e umano ci si domanda se la situazione attuale sia un’evoluzione positiva o un’involuzione insoddisfacente sia per il singolo che per la collettività.
Se non la si ritiene rispondente, è bene che con maggiore consapevolezza e responsabilità si cerchino nuove e personali risposte creative, che potranno diventare successivamente nel tempo nuove ritualità collettive.
In Italia le associazioni di volontariato già da alcuni decenni si stanno muovendo in tal senso e recentemente anche lo stato italiano con la legge delle cure palliative (n.39/1999) ha incominciato a promuovere nuove forme di assistenza e di cura per l’accompagnamento dei morenti e per contrastare l’isolamento e la sofferenza delle persone in lutto. Purtroppo siamo ancora agli inizi e il compito non appare facile.
Auguriamoci che le nostre componenti umane e umanitarie non siano del tutto soffocate dalle dinamiche economiche, tecnologiche e consumistiche, che sembrano ormai prevalere. Speriamo che vengano sempre di più promosse iniziative da parte della collettività, ad esempio come quella presentata in questo libro, per rompere il silenzio e la solitudine con cui gli esseri umani vivono questi travagli dell’esistenza.

Cordoglio e lutto

Nel linguaggio corrente questi due termini sono equivalenti e quindi usati senza alcuna distinzione, ma per gli “addetti ai lavori” cordoglio ha una particolare sfumatura di significato. Con questa parola si intende infatti il ” dolore del cuore”(dal latino cor-cordis, cuore, e dolere sentire dolore). Questo termine, che appare come una metafora, indica bene sia la sofferenza sul piano fisico, lo spasmo del cuore, che quella psicologica, lo spasimo, il desiderio affettivo della persona deceduta.
Il dolore della perdita, il cordoglio, lo si prova non solo per la morte di una persona cara, ma ogni volta che perdiamo o dobbiamo lasciare andare oggetti significativi sia esterni (come una relazione affettiva, un progetto, un ruolo sociale, un luogo), che interni (una parte di sé, un’immagine dell’altro interiorizzata, un’immagine idealizzata di sé e dell’altro). Sicuramente il cordoglio del lutto si distingue per la definitività e irrecuperabilità della perdita.
Nel linguaggio comune con la parola lutto ( dal latino luctus, pianto, verbo lugere piangere ed essere in lutto), si intendono sia i rituali collettivi e le pratiche sociali e pubbliche, che vengono svolte nelle diverse culture, sia l’insieme delle reazioni psicologiche e dei comportamenti individuali che si sperimentano a causa della morte di una persona.
Il lutto è un’esperienza psichica universale, che tutti incontrano nel corso dell’esistenza e sempre più frequentemente con l’aumentare dell’età, ma che viene vissuta in tempi e modi molto personali e differenti. Alcuni si comportano in maniera distaccata e controllata , altri piangono e si disperano rumorosamente; alcuni vogliono stare da soli, altri preferiscono una compagnia costante; alcuni eliminano subito dopo la morte le cose che appartenevano al defunto, altri le conservano immutate per anni; alcuni vanno ogni giorno al cimitero, mentre altri lo rifuggono totalmente.
In qualsiasi modo il lutto sia espresso, sicuramente la morte di una persona significativa genera delle difficoltà che scuotono profondamente. Come ha detto un familiare in lutto: ” è un terremoto, a cui seguono le scosse d’assestamento”.
Questa metafora descrive bene la profondità della perdita e il peso dell’angoscia che fa vacillare ogni equilibrio all’esterno, dove le macerie sono più visibili, e all’interno, dove le spaccature e le scosse si originano e sono ancora più violente.
Questa immagine sottolinea inoltre con chiarezza la presenza di un processo: dall’acme dei sentimenti dolorosi dei primi tempi, alle successive “scosse d’assestamento” fino al ritorno a uno stato di quiete.
Le persone variano enormemente nella loro risposta al lutto. Alcune soffrono di un danno duraturo per il loro stato mentale, sociale e spirituale; altre portano il lutto nel loro cammino a ogni passo e altre diventano più mature, più valide di quanto lo fossero prima dell’esperienza del lutto.
Il decorso psicologico del lutto dipende infatti da molti fattori, alcuni legati alle circostanze della malattia ( di lunga o breve durata, presenza o meno di sintomi dolorosi, stato di coscienza,…), alle modalità del decesso (morte improvvisa o attesa, luogo, stato della salma,…), altri a elementi eminentemente personali e relazionali, indipendenti dalla malattia e legati alla vita trascorsa insieme. I più significativi sono:
– l’età (bambino, giovane, adulto, vecchio)
– il ruolo ricoperto in famiglia (grado di parentela)
– la qualità della relazione (dipendenza fisica, psichica, economica, sociale, vicinanza e coinvolgimento prima della malattia…)
– le risorse e le caratteristiche personali (stato di salute fisica e psicologica, tratti della personalità: sensibilità, consapevolezza, equilibrio, responsabilità, capacità d’adattamento…)
– le risorse del contesto familiare (dinamiche familiari, conflittualità o coesione, apertura o isolamento relazionale, livello socioculturale, fede religiosa ….)
– le risorse del contesto ambientale (rete relazionale di supporto formale e informale…)
– i lutti precedentemente vissuti e loro modalità di risoluzione.
E’ importante sottolineare che l’elaborazione del lutto sarà influenzata anche dalle esperienze relazionali che si svolgono nel corso della malattia, prevalentemente legate al tipo di assistenza, di comunicazione e di scambio emozionale che si riesce a creare. A molti è capitato di essere testimoni o di venire a sapere di momenti di condivisione profonda, colmi di tenerezza e comprensione tra familiari, che recuperavano anni di distanziamento affettivo e di lontananza.

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se esistesse Babbo Natale…

Operazione Natale

Se Babbo Natale esiste, come fa a produrre milioni di regali e a consegnarli tutti (intatti) in una notte? Scopri con noi come funziona – in una simulazione semi-seria e semi-scientifica – la Santa Klaus Corporation, la multinazionale super tecnologica (e super segreta) di Babbo Natale.

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Tutti, o quasi (per l’esattezza il 90% della popolazione del mondo occidentale), abbiamo creduto a Babbo Natale, salvo poi cominciare a dubitare, tra i 5 e i 10 anni, che fosse lui a portarci i regali. Secondo alcuni con dispiacere (è bello credere a storie così ricche di mistero e magia), secondo altri con sollievo: i bambini sono molto attenti e infastiditi dalle contraddizioni logiche e il mito di un vecchio elfo che vola con le renne è in palese contraddizione con le basi della cultura tecnologica moderna.

Tecnobabbo
Che si neghi o meno l’esistenza di Babbo Natale, a tutti rimane però un dubbio: come è possibile che nella sola notte di Natale siano consegnati miliardi di regali in tutto il mondo?
Proviamo a immaginare come potrebbe farlo. Il tutto è opera di una grande multinazionale semi-segreta, la Santa Klaus Corporation, fondata da Babbo Natale in persona negli anni ’60, che ha oggi un budget operativo annuale di 250 miliardi di euro, in pratica 10 volte il fatturato della Fiat, o 3 volte quello dell’Ibm.

Può darsi che la “SKC” abbia avuto in passato, come si mormorava, i suoi stabilimenti produttivi al Polo Nord, per motivi di riservatezza legati al tipo di lavorazione e alla “mission” della società. Oggi al Polo Nord è però rimasto solo il quartier generale.

Delocalizzazione
La produzione è stata delocalizzata in Cina, India, Russia e Brasile ed è programmata fin dal gennaio precedente. Al Polo sono rimasti centri amministrativi e informatici. Per risparmiare spazio Babbo Natale usa server multipli, che richiedono molta energia per il raffreddamento. Ma al Polo il freddo è gratis…
In febbraio inizia la produzione e si fanno le prime spedizioni.

Diritti televisivi
Entro febbraio vengono anche rinnovati tutti i contratti di cessione dei diritti per l’immagine di Babbo Natale, renne, elfi, alberi e sito Internet (www.santa.com) con Hollywood, le grandi agenzie pubblicitarie e le televisioni di tutto il mondo. È da questi contratti che, fino a oggi, la Babbo Natale Inc. ha tratto buona parte dei suoi ricavi. Il rimanente 50% dei profitti negli ultimi anni era venuto anche da investimenti miliardari in fondi speculativi (“hedge fund”) con una redditività media miracolosa: del 20%. Quest’anno però gli “hedge fund” sono andati in perdita e la società, per rispettare il budget, ha dovuto tagliare molti costi.
A novembre, in un regali-warning (un allarme rivolto a tutti i clienti), Babbo Natale ha annunciato che nei doni che richiedono batterie queste non saranno incluse. Che le istruzioni saranno in una sola lingua (il cinese). E che saranno ridotte le nevicate nelle zone temperate europee e americane.

Algoritmo segreto
Questo proprio quando era stato appena completato il nuovo sistema satellitare di sorveglianza sul comportamento dei bambini che affianca quello tradizionale effettuato dai Babbi-spia dislocati nei centri commerciali di tutto il mondo. Grazie a un algoritmo in confronto al quale quello (altrettanto segreto) di Google appare primitivo, la multinazionale del Natale è così in grado di valutare il comportamento di tutti i bambini negli ultimi giorni prima della notte del 25 dicembre e di aggiornare la distribuzione fino all’ultima ora. 80 grandi navi sono usate per portare 66.250 container di giocattoli in ogni parte del globo. Qui vengono inizialmente stoccati in enormi depositi segreti.

La carica dei Tir
Negli ultimi giorni prima del 25 dicembre migliaia di Tir e treni carichi di regali partono dai magazzini e raggiungono le città e i paesi dove dovranno essere consegnati. In località difficili da raggiungere o per emergenze è pronta ad entrare in attività una speciale squadra paracadutata.

Satelliti spia-bambini
Da quest’anno è entrato in funzione un nuovo sistema di controllo satellitare in grado di individuare e valutare comportamenti capricciosi o atti di bullismo.

24 dicembre: l’invasione rossa
La sera del 24 dicembre scatta la fase più delicata dell’operazione. Un’ora prima di mezzanotte le 640 mila unità speciali territoriali ricevono sui loro palmari la lista aggiornata dei bambini buoni e cattivi della zona.
Ogni unità coordina 15 squadre di 2 specialisti in divisa rossa e cappuccio, addestrati all’ingresso tramite camini e canne fumarie (secondo indiscrezioni vengono assunti, con contratti a termine, anche ex scassinatori pentiti) e dotati di lenti per la visione notturna.
Ogni squadra ha 5 minuti per consegna. Mentre uno dei 2 membri scannerizza i pacchi già presenti sotto l’albero con un dispositivo a radio per evitare di lasciare doppioni, l’altro deposita il regalo. Incontri. Se scoperti durante la consegna, gli “invasori” hanno l’ordine di reagire usando sostanze lievemente allucinogene.
Il mattino dopo la persona così trattata si sveglierà convinta di “avere fatto un sogno”.

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